In un’ipotetica sfida tra chi ritiene che la sostenibilità ambientale sia un tema importante e chi invece ritiene sia solo una moda, i primi vincerebbero 47 a 41 (per cento). Ancora: il 97% degli italiani è d’accordo per limitare l’uso della plastica, il 92% fa (o dice di fare) la raccolta differenziata, il 74% acquista elettrodomestici a basso consumo anche se costano di più, il 71% sceglie un investimento sostenibile anche in presenza di un rendimento inferiore alla media e il 75% nello scegliere un posto di lavoro, preferisce un’azienda attenta ai temi della sostenibilità. Ancora, il 32% vorrebbe progetti di riforestazione urbana, il 28% un piano di riqualificazione energetica degli edifici esistenti. Più in generale, gli italiani coinvolti dai temi della sostenibilità sono 34 milioni, il 67% della popolazione.
Sono solo alcuni dei dati raccolti ed elaborati da EumetraMr e presentati a Milano dall’Osservatorio Nazionale sullo stile di vita sostenibile promosso da Lifegate. Sono dati che fotografano un Paese con un fiera coscienza ambientalista, che nessuno racconta, e nessuno rappresenta. Soprattutto, è un mondo maggioritario, lontano dagli stilemi dell’ambientalista fricchettone e o comunista. È una coscienza che tra mille sfumature viaggia trasversale dagli elettori della Lega a quelli di Sinistra Italiana, passando per il Pd e i Cinque Stelle, da Nord a Sud. È la green Italy di cui parla da quasi dieci anni Ermete Realacci, che alla faccia di chi crede ancora che ambiente faccia rima con decrescita, mette in fila oltre 345.000 imprese italiane dell’industria e dei servizi con dipendenti che tra il 2014 e il 2018 hanno investito in prodotti e tecnologie green.
Non siamo ancora la Svezia, forse. Ma siamo un Paese che in questi anni ha fatto passi da gigante, grazie alla consapevolezza delle sue famiglie e delle sue imprese: alzi la mano – sono dati di Fondazione Symbola – chi sa che l’Italia ricicla il 79% dei rifiuti che produce, più del doppio della media europea. O che saremo il primo Paese al mondo ad eliminare le microplastiche dai cosmetici e a mettere al bando i cotton fioc in plastica non biodegradabile. O che, sempre rispetto alla media europea, la nostra agricoltura emette il 46% in meno dei gas serra.
Sono tutti segnali di un Paese che potrebbe davvero fare dell’ambientalismo la sua caratteristica distintiva, la sua medaglia al petto. Ed è paradossale che proprio la politica non sia in grado di dare corpo a questa domanda di sostenibilità tutta italiana, a questa coscienza ecologista di cui a volte nemmeno ci rendiamo conto, salvo poi stupirci del fatto che il 15 marzo scorso nessuno è sceso in piazza per il clima come gli italiani. Che tutto questo accada senza che i verdi italiani siano in Parlamento, mentre in Germania sono la seconda forza, e in Austria esprimono il presidente della repubblica. Che non ci sia nulla o quasi di ecologista nelle prime dieci proposte dei primi quattro partiti italiani. Che il Movimento Cinque Stelle, l’unico che in questi anni si è appropriato con successo di battaglie ecologiste, abbia svenduto la sua anima ai condoni edilizi, e fatto marcia indietro su battaglie identitarie, giuste o sbagliate che fossero, come quella contro il gasdotto Tap.
Manca una leadership credibile, ti dicono se chiedi in giro. Può essere. Ma quel che manca, dentro partiti e movimenti asfittici, a destra come a sinistra, è il coraggio di credere che un’agenda sinceramente e radicalmente ecologista possa conquistare un consenso maggioritario. E soprattutto possa essere realizzata senza perdere voti. In un Paese perso nelle sue paure, il sogno di un radicale cambiamento del modello di sviluppo, del miglioramento della qualità ambientale, di un investimento su modi di vivere e produrre sulla frontiera dell’innovazione verde, potrebbe essere la fiammella che riaccende la speranza in un futuro migliore. Qualcuno ha voglia di provarci?
fonte linkiesta