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Gli sbarchi fantasma sono la vera emergenza sicurezza, ma Salvini se ne frega

 

Nei dati quotidiani del Viminale non compaiono. Non trovano spazio sui giornali. Non esistono nelle polemiche quotidiane tra governo e organizzazioni non governative. Sono gli sbarchi fantasma, ossia le piccole imbarcazioni da diporto, anch’esse cariche di migranti, che partono dalla Libia, dalla Tunisia, dall’Algeria o anche dalla Turchia, arrivano sulle spiagge italiane, senza richiamare alcun interesse mediatico, sbarcano chi devono sbarcare e poi scompaiono nel nulla. Stando all’unico conteggio ufficiale a disposizione, quello del Comitato nazionale per l’ordine e la sicurezza, sono stati 815, contro i 930 dell’anno precedente, ma sono dati ufficiosi. Secondo il sindaco di Lampedusa Totò Martello nel solo mese di giugno ci sono stati 26 di questi sbarchi sull’isola, corrispondenti a circa 500 persone. Valentina Furlanetto del Sole24Ore, invece, conta 18 sbarchi e 641 migranti in un solo mese. Negli stessi giorni, i 49 migranti di Sea Watch 3 sono rimasti per due settimane in acque internazionali, protagonisti loro mal grado della polemica infinita tra il ministro Salvini e l’ong tedesca.

Il problema c’è e non vale la pena nasconderlo. Le rotte dell’immigrazione, complice la guerra senza quartiere di Salvini alle Ong e l’abbandono del presidio delle acque internazionali con la revoca della missione Sophia, sono ormai fuori controllo. Ne arrivano meno, certo. Ma non sappiamo quanti ne arrivano e soprattutto non sappiamo chi arriva, né come identificarlo. Se merita asilo politico o meno, se ha la fedina penale pulita, se è nell’elenco dell’anti-terrorismo, se finiscono tra le braccia delle mafie o meno. «Il pericolo maggiore alla sicurezza pubblica più che dai barconi che partono dalla Libia proviene dagli sbarchi fantasmi che arrivano dalla Tunisia», ha spiegato qualche giorno fa il procuratore di Agrigento Luigi Patronaggio, nel corso dell’audizione in Commissione Affari costituzionali su decreto sicurezza. «Gli sbarchi fantasmi sono un vero pericolo perché chi arriva così vuole sottrarsi all’identificazione».

Aggiungiamo un carico da mille: la minaccia di Sarraj di aprire le carceri e i centri di detenzione libici, nel caso non ricevere aiuti adeguati dall’Italia per combattere il generale Haftar. Chi in quelle carceri c’è perché disperato in arrivo dal Sahel – donne, bambini, gente che ha tutte le carte in regola per ottenere lo status di rifugiato – si ritroverà a salire sui gommoni e sui barconi che puntano i porti, o che sperano di essere intercettate dalle navi delle Ong. Chi invece non vuole essere identificato, criminali o terroristi, partirà su barche che non hanno alcuna intenzione di essere intercettate. Il problema? Contro i primi Salvini sta scatenando la sua personalissima guerra di religione. Dei secondi non solo se ne frega, ma non vuole che nessuno se ne occupi. Sia mai che i numeri ufficiali racconti una storia diversa.

Il problema è serio, però. Perché c’è poco da fare decreti sicurezza uno e bis se della vera minaccia alla sicurezza non te ne occupi. E, soprattutto, se quella minaccia nasce dall’assenza di presidio dei mari che tu stesso, ministro dell’interno, hai consapevolmente avversato, come ha recentemente ricordato il ministro della difesa Elisabetta Trenta. E ancora, se per avere i dati immacolati sul cruscotto del Viminale si incoraggia un’immigrazione non monitorata e non identificata, fuori da ogni controllo. Se ha a cuore la sicurezza di questo Paese, caro ministro Salvini, forse è di questo che si dovrebbe occupare.

 

 

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