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Governare o morire, con l’intesa coi Cinque Stelle il Pd si gioca tutto

Il primo giro di incontri fra Pd e M5s sembra andato bene e molti ostentano ottimismo. Ottimismo della volontà, si potrebbe dire usando una famosa espressione gramsciana, perché le circostanze suggerirebbero piuttosto la cautela che si usa nelle occasioni fatidiche, quando si gioca per la vita e per la morte.
Se per i Cinque Stelle una intesa sbagliata significherebbe un rapido schianto dopo un’esperienza di politica e di potere molto breve – cinque anni o poco più – per i Democratici un eventuale passo falso segnerebbe la fine di una tradizione quasi centenaria: questa contrattazione e l’esecutivo che ne uscirà saranno il test definitivo per capire se la sinistra italiana è all’altezza dei tempi nuovi, se è capace di individuarne le priorità e le urgenze, oppure se le sue energie sono esaurite.

Il rischio è molto alto ed è legato a una serie di circostanze che finora, persi come eravamo nel gioco della crisi e delle reciproche invettive, hanno avuto poco rilievo nel dibattito pubblico e nelle considerazioni dei partiti. Un eventuale governo giallorosso si insedierebbe nel momento più complesso degli ultimi tempi per il nostro sistema produttivo. La brusca frenata dell’economia tedesca, con il Pil di Berlino che si trascina sull’orlo della recessione, rischia di dare il colpo di grazia alle chance di crescita italiane nel breve periodo, e nei tempi lunghi c’è una colossale riflessione da fare sulla riconfigurazione dei poteri globali. La guerra commerciale aperta dagli Usa. Il ritorno dei dazi. Il riaffermarsi di istinti protezionistici dopo gli anni d’oro della globalizzazione. Se il sovranismo offre risposte semplificate, “dall’altra parte” c’è un progetto? O solo un generico Tiremm’innanz, una modesta strategia di limitazione del danno?

Ce lo diranno, qualora la trattativa abbia un esito positivo, i nomi più che il programma del governo prossimo venturo. Servono personalità e ambizioni alte, perché il piccolo cabotaggio non sarà sufficiente ad assolvere la missione che il Pd si assume scendendo a patti con uno spezzone del populismo italiano. Questa missione non attiene solo alle questioni economiche – che peraltro sono state il vero detonatore dell’affermarsi di Lega e Cinque Stelle – ma anche a un impegno politico cruciale: la piena “costituzionalizzazione” del movimento di Beppe Grillo e la possibilità di traghettarlo dallo spirito antisistema delle origini (in larga parte conservato nei 14 mesi di governo della Lega) verso una assunzione di responsabilità “adulta”.

Il Paese non può più permettersi altre avventure, e la peggiore sarebbe senza dubbio il secondo Governo dei Litigi in un anno e mezzo, una replica del copione competitivo e conflittuale visto tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini dalle elezioni del 2018 all’altro ieri. La narrazione corrente assegna la colpa di quella rissa continua agli eccessi del Capitano, ma sappiamo tutti che i grillini hanno fatto la loro parte, trasformando in scontro ideologico ogni minuta questione nell’impossibile tentativo di tenere insieme gli scombinati spezzoni movimentisti che avevano determinato il loro successo. Ora che la retorica No-Tav, No-Vax, No-Tap è diventata inutile – quei voti se ne sono andati, difficilmente torneranno indietro – i Cinque Stelle dovrebbero essere entrati in una nuova fase: il rischio è che l’inseguimento dei voti perduti lo ricominci il Pd, spostando verso sinistra la gara a chi la spara più grossa che abbiamo visto combattere per mesi sul versante destro.

Non è il momento. Il Paese non perdonerebbe. Non perdonerebbe soprattutto il Nord. Non è un mistero per nessuno che larghi settori dell’impresa avrebbero preferito il voto – lo hanno dichiarato pubblicamente in tanti – per incoronare premier Matteo Salvini, ritenuto l’interlocutore più affidabile e più vicino al “partito del Pil”. La terza incombenza di cui il Pd dovrà farsi carico è appunto modificare questa percezione, e certo non ci riuscirà se userà il governo per riagganciare l’elettorato di sinistra-sinistra sposando un certo tipo di rigorismo così popolare da quelle parti.

Il governo uscente ha avuto molte pecche. Ma milioni di italiani – sarebbe il momento di ammetterlo – hanno ottenuto concreti vantaggi da alcune delle sue misure, che sono peraltro quelle contro le quali si è scagliato con più forza il Pd. Non solo reddito di cittadinanza e Quota Cento ma anche le rottamazioni fiscali, che non hanno favorito solo gli evasori, come voleva la vulgata dell’opposizione, ma anche rimesso in carreggiata solo con la Rottamazione Ter un milione e 400mila italiani: numeri così indicano un largo stato di necessità, salvo che non si pensi che siamo un Paese di perfetti delinquenti.

Il quarto e ultimo rischio per la sinistra italiana – se arriverà a sottoscrivere un accordo di governo – sarà il cimento con l’opposizione leghista. Nella precedente legislatura la competizione risultò fatale: i governi di Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni sono stati in qualche modo il brodo di cultura dell’arrembaggio dei populismo, che in cinque anni è passato da una folkloristica irrilevanza alla maggioranza relativa del Paese. Un milione e mezzo di voti in più per il M5S. Quattro milioni in più per la Lega. La storia non si ripete quasi mai, ma è molto concreto il pericolo che anche il prossimo governo si trasformi in uno straordinario volano per chi ne resta fuori e specialmente per Matteo Salvini.

La questione di vita o di morte è tutta qui, ed è probabile che le molte perplessità di Nicola Zingaretti nei giorni precedenti alle consultazioni siano legate alla consapevolezza che il bivio è davvero fatale. Le elezioni avrebbero garantito un risultato magari non eclatante ma quasi sicuramente positivo e comunque una sicura sopravvivenza fino al “prossimo giro”. Il governo è un’incognita assoluta e potenzialmente fatale.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/08/24/governo-pd-5-stelle-zingaretti-di-maio/43303/

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