120 giorni di trattative per il governo gialloverde, 120 ore – da venerdì a martedì – per trovare la quadra al governo giallorosso. Potranno sembrare improbe le condizioni imposte dal presidente della Repubblica a Pd e Cinque Stelle per trovare un accordo che consenta alla legislatura di proseguire con una nuova maggioranza, dopo la crisi dell’esecutivo gialloverde aperta da Matteo Salvini e le successive dimissioni di Giuseppe Conte. Soprattutto, perché democratici e pentastellati in questi mesi non se le sono mandate certo a dire. E potrà pure sembrare ingeneroso il fastidio con cui ieri sera alle 20, parlando al termine delle consultazioni, il presidente della repubblica ha concesso il fine settimana alle forze politiche “per sviluppare un confronto” e per fare “ulteriori verifiche”, rimarcando la necessità di “decisioni sollecite”.
Può sembrare improbo e pure un po’ ingiusto, ma Mattarella ha ragione da vendere a chiedere di fare presto e di abbandonare i tatticismi esasperanti che dilatarono lo stallo post 4 marzo. E che oggi, con una legge di bilancio da fare e con un aumento dell’Iva da 23 miliardi da disinnescare, semplicemente non possiamo permetterci.
Fa bene ad avere fretta, Mattarella, perché vuole stanare tutte le parti in commedia. Vuole capire da Zingaretti se la sua apertura alla formazione di una maggioranza coi Cinque Stelle è tattica o è reale. Vuole capire da Di Maio se sta davvero trattando col Pd o vuole far fallire tutto per tornare con Salvini. Vuole sapere se in Forza Italia prevarrà la linea Gianni Letta – accordo con Pd e Cinque Stelle per un governo istituzionale – o quella di Berlusconi, ancora ancorato allo schema del centrodestra con la Lega e Fratelli d’Italia. Se non altro, ha già stanato Salvini che all’opposizione di un governo Pd-Cinque Stelle non ci vuole finire, tanto da aver teso di nuovo la mano, ancora più esplicitamente, all’ex alleato.
Fa bene ad avere fretta, Mattarella, perché sa che ogni leader in questo momento è fragile, e non vuole farsi condizionare dai conflitti interni. Il Pd è due partiti in uno, con Zingaretti che controlla la segreteria e Renzi che controlla i gruppi parlamentari. I Cinque Stelle tra chi vuole restare con la Lega e chi vuole andare col Pd. La stessa Lega vive un forte travaglio interno, nonostante l’unità di facciata, rappresentato dal fastidio con cui Giancarlo Giorgetti ha vissuto le ultime mosse di Matteo Salvini. Più passa il tempo, pensa Mattarella, più quei conflitti avranno il sopravvento.
Fa bene ad avere fretta, Mattarella, perché sa anche che nessuno vuole andare al voto, Lega esclusa. Non ci vogliono andare i parlamentari del Pd, renziani, che difficilmente sarebbero ricandidati da Zingaretti. Non ci vogliono andare i Cinque Stelle, nonostante le capriole logiche di Di Maio – “abbiamo perso consenso al governo, quindi è ovvio che preferiamo il voto”, testuale -, che rischiano di dimezzare la loro rappresentanza parlamentare. Non ci vuole andare Forza Italia, che diventerebbe una succursale leghista. Tutte forze, peraltro, che se la legislatura proseguisse potrebbero dire la loro sulla nomina del prossimo presidente della repubblica, cosa che non avverrebbe in caso di voto anticipato e di una più che probabile vittoria di Salvini.
Fa bene ad avere fretta, Mattarella, perché lunedì tornano al lavoro i sondaggisti, e arriveranno le prime rilevazioni sulle intenzioni di voto post-crisi, che potrebbero condizionare le scelte dei partiti. Ad esempio, una crescita del Pd potrebbe convincere Zingaretti ad alzare la posta, così come un recupero dei Cinque Stelle potrebbe ringalluzzire Di Maio e spingerlo verso il voto. Allo stesso modo, un’ulteriore crescita di Salvini e della Lega rischierebbe di rendere politicamente impraticabile un ribaltone parlamentare, spingendo l’Italia al voto.
Fa bene ad avere fretta, Mattarella, perché sa anche che la trattativa tra Pd e Cinque Stelle esiste da parecchio tempo, e lo sa perché dal Quirinale è passato più di qualcosa, di quella trattativa. Non si parte da zero, insomma, ma su basi programmatiche ben note sin dai tempi della trattativa di maggio e giugno – quella che Renzi fece deragliare a Che Tempo Che Fa -, fondate sulla tutela ambientale e su nuove politiche sociali. Questo non è il momento di ridiscutere, questo è il momento di dare seguito ad accordi già presi, senza tatticismi, paure o furberie.
Fa bene ad avere fretta, Mattarella, perché i suoi polli li conosce sin troppo bene.
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