Sono ormai molti i motivi di scontro nella maggioranza giallo-verde: dall’autonomia differenziata alla flat tax, dal Russiagate al voto per la nuova presidente della Commissione Ue
di Manuela Perrone
Swg: Lega cresce nonostante il Russiagate, salgono M5S e Fi
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Le crepe nella maggioranza gialloverde sono tante, troppe. Giuseppe Conte prende in contropiede Matteo Salvini e accoglie la richiesta di Pd e Leu: sarà il premier mercoledì prossimo alle 16.30 a riferire in Aula al Senato sul Russiagate. Una mossa per mettere alle strette il leader della Lega, che si oppone a un’informativa. E insieme la conferma della linea di questi giorni – reagire alle provocazioni – scelta da Conte all’indomani della «scorrettezza istituzionale» (parole sue) della riunione con le parti sociali voluta dal vicepremier leghista lunedì scorso.
Le tensioni, i veti incrociati e gli sfilacciamenti, quando non vere e proprie retromarce, si moltiplicano su tutti i fronti. Ci sono lo stop pentastellato all’autonomia differenziata cara alla Lega, la sorveglianza europea sui conti pubblici che restringe gli spazi di manovra sulla flat tax sognata dal Carroccio e sugli aiuti alle famiglie immaginati dal M5S, la sconfessione obbligata all’orizzonte della linea dura dei Cinque Stelle sulla Tav, i pentastellati che esultano per Alitalia, sebbene per salvarla si proponga Atlantia, ovvero quei Benetton cui minacciano la revoca della concessione autostradale. A tutto questo si aggiungono i timori per nuove rivelazioni sul caso dei fondi russi.
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Conte trae forza dal momento di debolezza del suo vice della Lega e continua a sfidarlo rinsaldando l’asse con i pentastellati dell’altro vice, Luigi Di Maio. La spaccatura tra i gialloverdi diventa plateale in Europa, con il voto favorevole del M5S (e il placet di Conte) a Ursula von der Leyen presidente della Commissione Ue e il “no” dei leghisti, che tuonano contro «l’asse Merkel, Macron, Renzi, 5stelle».
A tre giorni dalla chiusura della finestra elettorale per il voto anticipato a settembre, il destino del Governo è quanto mai opaco, il contratto paralizzato. Ogni attore sulla scena fa le sue valutazioni: calcola i rischi di una crisi, soppesa i benefici. Che risultano ancora inferiori per entrambi gli alleati, anche se Salvini per la prima volta con i suoi non esclude che si possa tornare alle urne nei prossimi mesi, forse a primavera.
La difficoltà di Salvini sull’affare Russia è dimostrata dalla sua resistenza a presentarsi in Parlamento per un’informativa, che scatenerebbe un dibattito politico vero e ampio. Una prova che il leader della Lega non può permettersi di affrontare subito, prima di capire se possano emergere altri elementi. Oggi il caso, cavalcato con forza dal Pd di Nicola Zingaretti, approda al Copasir. I Cinque Stelle non forzano la mano, convinti che prima o poi Salvini cederà.
Lo spettro che si agita davanti al numero uno del Carroccio è quello di una convergenza futura anche interna tra dem e M5S, in particolare l’anima che fa capo a Roberto Fico. Il presidente della Camera ieri ha scritto al Governo per reiterare la richiesta di un’informativa di Salvini e stamattina incontra Zingaretti e il capogruppo Pd Graziano Delrio.
Per Di Maio, però, non è un’opzione reale. Semmai un’arma di ricatto da brandire perché Salvini non stacchi la spina, visto che il ritorno al voto non garantirebbe mai ai Cinque Stelle – che alle scorse europee hanno perso sei milioni di voti rispetto alle politiche del 4 marzo 2018 crollando dal 32,7% al 17% – un peso pari a quello odierno. Né alle Camere né al Governo.
Conte attende alla finestra gli sviluppi dell’ affaire Russia, ma è deciso a non accettare più le provocazioni di Salvini. Per esempio sulla manovra e sulla politica economica. Lo ha fatto lunedi scorso, bollando come una “scorrettezza istituzionale” la riunione convocata dal vicepremier leghista al Viminale con le parti sociali sulla manovra e rivendicando le competenze sue e del ministro dell’Economia. Oggi accoglie la proposta di Di Maio, lanciata dalle pagine del Sole 24 Ore, di un workshop di più giorni tra Governo (tutto), mondo produttivo e sindacati. Il premier ha un’altra carta da poter giocare: al momento è l’unico a vantare un dialogo con le cancellerie europee. A potersi presentare come un argine all’isolamento dell’Italia in Europa.
Resta la domanda delle domande: come andare avanti? Su quali basi? Che cosa resta del contratto di Governo, esaurita la forza propulsiva delle promesse elettorali del 2018, ovvero quota 100 e reddito di cittadinanza? L’adesione del gruppo M5S alla maggioranza che sostiene von der Leyen a Strasburgo non è neutra: nel suo discorso programmatico la tedesca ha citato il salario minimo, la tutela dell’ambiente, il diritto a salvare vite in mare. Temi che sono fumo negli occhi per la Lega, la cui ambizione di indicare un commissario diventa ora più difficile, e da cui invece i Cinque Stelle dicono di essere stati conquistati. Ammettendo uno strabismo evidente, perché in patria sono alleati dei leghisti.
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