La strada per un governo Draghi si fa meno stretta. Dopo il Pd e Iv, anche Forza Italia dice sì a un esecutivo guidato dall’ex banchiere centrale. Apre il M5s e anche una parte della Lega vorrebbe appoggiarlo. Una spinta la dà anche Giuseppe Conte, che non ci sta a essere considerato “un sabotatore” e tantomeno un “ostacolo” al nuovo esecutivo. E il Colle apprezza e registra un moderato ottimismo sulla possibilità di una soluzione della crisi. Segnali che la Borsa festeggia e anche lo spread: scende sotto quota 100, un record che non si vedeva dalla fine del 2015.
Si avviano le consultazioni a Montecitorio dove sfilano per primi i partiti più piccoli, tutti all’unanimità pro Draghi, anche quelli che orbitano nel centrodestra. Gli alleati Salvini, Meloni e Berlusconi questa volta si presenteranno divisi, così ognuno – è la sintesi del segretario leghista – avrà modo di dire “liberamente quello che ha in testa”. Dal Cavaliere, alla guida della delegazione azzurra che incontrerà il premier incaricato, arriva un vero e proprio endorsement: Draghi è una personalità di “altro profilo” e la scelta di Mattarella va nella direzione “da noi indicata”, dice parlando con i suoi.
A leggere le dichiarazioni le ricette proposte dai partiti sembrano però tutte diverse e non solo nel centrodestra. I 5s hanno il “dovere” di sedersi al tavolo, avverte Luigi Di Maio invitando le truppe a mostrare “maturità”. L’invito ad aprire a Draghi arriva anche dalla sindaca di Roma Virginia Raggi, convinta che “dal Recovery alla burocrazia si possa fare molto”.
Passi avanti verso il dialogo dunque, ma il nuovo esecutivo dovrà fare spazio alla politica, insiste il Movimento. Il Pd invece non si stanca di ripetere di volere una “maggioranza larga e europeista”. Che potrebbe includere dunque gli azzurri ma farebbe più fatica a digerire la Lega. Nicola Zingaretti in direzione parla di un necessario allargamento in Parlamento alle forze “moderate, liberali, socialiste”. I sovranisti non rientrano nel perimetro. Ma il ragionamento non preclude l’ipotesi di un esecutivo sostenuto anche dalla Lega, spiega più tardi sempre il segretario Dem: la chiara vocazione europeista” rende il Pd e partito di Salvini “alternativi” ma “spetta al professor Draghi costruire il perimetro della maggioranza”. E Draghi nel suo discorso al Colle ha detto di guardare all’unità delle forze politiche e quindi anche al partito guidato da Salvini. Via Bellerio, che pure riunisce la segreteria, non ha maturato intanto una linea unitaria al suo interno. Mentre Giorgetti definisce Draghi un “fuoriclasse che non puo’ stare in panchina” il leader continua a oscillare fra posizioni più aperturiste e scelte di chiusura. Intanto prova la carta della minaccia: o noi o i cinquestelle. Draghi dovrà scegliere, dice.
Il premier incaricato ascolta, prende appunti. Il Quirinale non ha posto paletti temporali: ci sarà infatti, come riferisce Maurizio Lupi, un secondo giro di consultazioni. Il primo round terminerà sabato, gli ultimi ad essere ricevuti saranno i 5S.
Intanto si delinea un primo abbozzo del programma dell’ex presidente Bce: il Recovery plan non puo’ essere sprecato – è la convinzione ribadita nei colloqui – e i fondi vanno “usati con saggezza e intelligenza”. Quello che davvero servirà poi è ‘ristorare” le categorie più colpite dalla pandemia ma soprattutto procedere sul piano degli investimenti.
Dopo qualche giorno passato in silenzio, parla anche il premier uscente. Sceglie di dichiarare fuori da Palazzo Chigi, con tanto di tavolino allestito a uso dei media. Chiarisce di non lavorare per portare fuori rotta il governo Draghi e annuncia di non voler uscire dalla scena politica. Si rivolge direttamente al Movimento: “Io ci sono e ci sarò”, dice. E poi guarda al Pd e a LeU, invitandoli a non disperdere il patrimonio di un’alleanza “per lo sviluppo sostenibile. Un progetto forte e concreto”. C’è chi legge queste parole come una discesa in campo. Luigi Di Maio subito dopo parla di “riconoscenza” nei suoi confronti dei 5S che continueranno a “essere protagonisti anche grazie a lui”.
Al termine del primo giorno di consultazioni del premier, duqnue, incaricato Mario Draghi, non sono ancora chiari i numeri della base parlamentare di cui potrà godere il suo esecutivo, anche se “rispetto alle incertezze di mercoledì, l’apertura di M5s fa “vedere” a Draghi la maggioranza in entrambe le Camere, anche in caso di scissione dei parlamentari vicini a Alessandro Di Battista. Se poi si aggiungesse nel sostegno anche la Lega, il nuovo esecutivo avrebbe una maggioranza blindata.
A Montecitorio l’ex presidente della Bce, con l’appoggio di M5s, arriverebbe a 441/451 voti: 191 del Movimento, 93 del Pd, 91 di Fi, 28 di Iv, 4 di Azione, 15 di Centro Democratico di Tabacci, 4 del Maie, 4 delle minoranze linguistiche, 12 di Nci. Leu al momento e’ spaccata tra i 7 di Art.1 che sembrano più favorevoli e i 5 di Sinistra italiana che stanno riflettendo, in attesa delle decisioni di M5s e anche della Lega e Fdi, con i quali Si non vuole “mischiare i propri voti”.
In più ci dovrebbero essere 3-4 voti dal gruppo Misto. Insomma la maggioranza assoluta di 316 voti verrebbe ampiamente superata anche in caso di scissione dell’ala legata a Di Battista. La Lega, dopo l’apertura di Giancarlo Giorgetti, porterebbe in dote altri 131 voti. Fdi (33) si attesta invece su “no” o al più su una astensione se altrettanto faranno gli alleati di centrodestra.
A livello politico lo scenario non cambia in Senato, anche se i numeri sono diversi. A Palazzo Madama per raggiungere la maggioranza, occorrono almeno 161 sì (il plenum è costituito da 315 senatori eletti e 6 a vita), soglia ampiamente superata con l’appoggio di M5s: i sì infatti raggiungerebbero quota 231: 92 del Movimento, 35 di Pd, 18 di Iv, 52 di Fi, 10 Europeisti, 7 delle Autonomie, 17 su 22 del gruppo Misto (tra essi anche i senatori a vita Cattaneo, Segre e Monti, mentre non votano da tempo Rubbia, Piano e Napolitano). Anche in Senato, la maggioranza verrebbe raggiunta anche se i circa 10 senatori vicini a Di Battista (guidati da Barbara Lezzi), uscissero. Se poi Salvini portasse su sì la Lega, Draghi potrebbe aggiungere i 63 voti della Lega, con i 19 di Fdi che diverrebbero ininfluenti nel loro no. Il governo Conte, con l’ultima fiducia si è fermato a quota 156.
Fonte Ansa.it