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I 20 punti di Di Maio per il governo? Su ambiente e beni comuni ha toppato alla grande

 

Parliamo di contenuti per un attimo. Non di alleanze, futuro del Paese, Papeete, Partiti, totoministr e tiraemolla del volubile Di Maioi. Rimaniamo sui contenuti. I 20 punti del “capo politico” dei 5 Stelle hanno il merito di disegnare un’Italia con alcune caratteristiche chiare. Alcune certamente condivisibili, come un’autonomia differenziata sana, che non penalizzi le Regioni ma le responsabilizzi (magari coinvoglendo gli altri enti locali), piuttosto che l’esigenza di una manovra che abbassi le tasse sul lavoro o un maggiore impegno sulla scuola e la formazione. Altre discutibili. Infine alcune completamente campate per aria.

Mi riferisco ad alcuni specifici riferimenti sui temi beni comuni e svolta ambientale. Noi siamo per una transizione ambientale che ci porti a vincere una sfida globale che vede il Mondo percorre una strada senza uscita. Se non cambieremo molto nei nostri consumi, nelle modalità che abbiamo per spostarci, costruire e produrre, sarà inesorabile l’aumento di due gradi medi rispetto alla società pre industriale con il conseguente scioglimento dei ghiacciai perenni, aumento del livello del mare, della siccità, delle migrazioni e della povertà ambientale e di un aumento dei costi del welfare.

Ma proprio per questo, proprio per la portata delle sfide non possiamo prendere in giro gli elettori. L’obiettivo 100% energia rinnovabile, vuol dire davvero poco. Oggi le fonti fossili rappresentano circa il 52% della produzione totale di energia. A questi va aggiunto il 10% di energia che viene importato dall’estero, prevalentemente da Germania (prodotta in buona parte a carbone) e dalla Francia (fonte nucleare prevalente). Si noti che l’energia prodotta dall’estero e importata costa meno di quella italiana, sia per le fonti (carbone e nucleare costano meno del gas naturale, che come fonte fissa il prezzo di produzione italiano) sia per l’assenza di oneri di sistema così onerosi come quelli italiani.

Le scelte dei 5 stelle al Governo hanno reso più complicato per l’Italia puntare alle rinnovabili perché deprimono la produzione nazionale di gas naturale. Le fonti rinnovabili non programmabili (la maggior parte) non possono da sole sostenere l’intera rete con consumi come quelli italiani. La ricerca su accumuli, generazione distribuita, mini-reti intelligenti etc. è utilissima ma al momento non siamo in grado tecnicamente per ragioni di equilibrio della rete (dispacciamento) di fare a meno delle fonti fossili.

Possiamo invece avere l’obiettivo serio e ambizioso di fare a meno del carbone entro il 2050, ma concentriamoci su questo invece che sparare nel mucchio su temi delicati, dove se si sbaglia si sbaglia due volte, uno per il settore energetico, due per l’intero sistema industriale che ha nell’energia uno degli asset produttivi principali ed insostituibili. Si pensi che le piccole medie imprese pagano per l’energia elettrica il 50% in più delle loro omologhe francesi e tedesche, in crescita del 10% questo “spread energetico” rispetto al 2011, questo porta ad una minor competitività sul mercato e un impatto diretto sull’occupazione e gli investimenti esteri in Italia.

Cosa si potrebbe fare? In primis una seria revisione degli oneri di sistema che sgravi le centrali di produzione elettrica e riduca l’impatto sulla micro e piccola media impresa, riducendo gli incentivi agli energivori ai soli soggetti in competizione internazionale.

Poi occorre superare il meccanismo dei certificati bianchi e rilanciare un grande piano di riqualificazione energetica del patrimonio pubblico e privato italiano. Un volano economico incredibile, il mercato è pronto per questa sfida se non scarichiamo sulle piccole e medie imprese che fanno questo tipo di lavori il costo della finanza. Le imprese devono fare le imprese, le banche le banche, il Governo di Luigi Di Maio ha invece obbligato le imprese ad anticipare i finanziamenti in attesa dei bonus energetici mettendo in ginocchio il settore e deprimendo gli investimenti.

Ampliare la produzione nazionale di gas naturale, il miglior amico delle fonti rinnovabili. La moratoria sulle trivelle e le norme volute dai 5 stelle favoriscono la dipendenza italiana da Putin e dai produttori di gas internazionali, limitano lo sviluppo e di fatto rendono inutilmente più costosa la transizone verso le rinnovabili. L’Italia se dovesse fare a meno della attuale produzione nazionale di gas naturale vedrebbe un aumento di un miliardo e mezzo l’anno di costi energetici, a carico dei cittadini.

Aumentare i canali di approvvigionamento del gas naturale dall’estero. Per ridurre la dipendenza da pochi pericolosi fornitori.

Analogamente sul tema beni comuni, Di Maio insiste sugli errori fatti. Parla di acqua pubblica, su cui siamo pienamente d’accordo. L’acqua è pubblica per legge, ma su risorse idriche, gestione rifiuti e trasporti pendolari, ossia tutti i settori pubblici a carattere industriale abbiamo bisogno di meno ideologia e più investimenti per ridurre le perdite nelle reti, migliorare l’efficacia delle aziende (pubbliche) e offrire servizi più vicini alle esigenze dei cittadini.

Le reti dei trasporti per i pendolari hanno rischiato di essere tagliate dal Governo di Di Maio e Salvini e gli investimenti di Trenitalia risalgono alla gestione precedente a quella attuale, serve investire su reti e vettori, con coraggio e determinazione.

Nei rifiuti serve un piano nazionale che accorpi le realtà aziendali e riduca il traffico dei rifiuti, incentivando la realizzazione di impianti laddove servono per l’autosufficienza nella gestione dei rifiuti. Oggi accade invece che molte regioni trasformano i propri rifiuti per renderli “speciali” e quindi trasferibili su tutto il territorio nazionale o all’estero, laddove esistono impianti per gestirli. Una situazione opaca, con costi crescenti, dove si inserisce la malavita organizzata e comportamenti che danneggiano l’ambiente e l’aria.

Inoltre il Governo Di Maio e Salvini non ha dato avvio alla delibera europea sull’end of waste, mettendo letteralmente in ginocchio le imprese dell’economia circolare, basta applicare quella delibera per semplificare il lavoro di chi deve trasformare i rifiuti in fattori produttivi, lavorando per ridurre il materiale plastico disperso nell’ambiente.

Di pasticci se ne sono fatti molti ma la situazione si può migliorare se i 5 stelle mollassero le sparate di Di Maio e si ponessero in una logica di collaborazione per offrire realmente ai cittadini meno emissioni, meno rifiuti e meno consumo energetico, da rendere sempre più rinnovabile.

La speranza è l’ultima a morire ma per vincere la sfida della sostenibilità ambientale dobbiamo accompagnarla con la sostenibilità industriale ed economica delle scelte che facciamo, aiutando con la programmazione a sviluppare settori di impresa coerenti con le politiche decise a Roma.

 

 

 

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