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I destini incrociati di Formigoni e Alemanno, i veri simboli del fallimento della Seconda Repubblica

Fuori due. Nel giro di tre giorni due politici simbolo della Seconda Repubblica, considerati gli eredi delle due anime del centrodestra nell’apice del berlusconismo sono stati condannati per corruzione. E ci siamo ricordati perché oltre ai congiuntivi sbagliati, l’impreparazione diffusa e gli errori fatti, il Movimento Cinque Stelle ha vinto le elezioni e (Sardegna a parte) piace ancora a molti italiani. Prima Roberto Formigoni è stato condannato in Cassazione a 5 anni e 10 mesi per corruzione quando era governatore della Lombardia. Ieri è toccato a Gianni Alemanno, ex sindaco di Roma dal 2009 al 2013 condannato in primo grado a sei anni (un anno in più rispetto alla richiesta della Procura) per corruzione e finanziamento illecito nell’inchiesta Terra di Mezzo, uno dei filoni principali del processo Mafia Capitale. E dire che i due, ora alle stalle, quando erano alle stelle, nel 2011 rappresentavano il futuro del centrodestra iberale ed ex missino.

«Voglio lasciare tutto il mio partito a Roberto Formigoni, che mi ricorda il me degli inizi. È stato condannato? Eh vede che mi ricorda il me degli inizi» ha scherzato Maurizio Crozza nei panni di Silvio Berlusconi qualche giorno fa. E in effetti il “Celeste” a capo della Regione Lombardia dal 1995 si è costruito negli anni a fatica la figura di delfino di Berlusconi, sperando che l’età o le inchieste giudiziarie che debilitavano il Cavaliere avrebbero creato lo spazio per una sua leadership nazionale. Si sbagliava. Formigoni rappresentava l’alternativa perfetta: incensurato, cattolico (e casto, per scelta), alla guida per due decenni della regione più produttiva d’Italia, simbolo dell’eccezionalità lombarda che puntava in alto e non solo per il Pirellone, il grattacielo fatto costruire per ospitare la Giunta regionale. Ma soprattutto a renderlo credibile per una successione (tramata ma irrealizzabile) era il modello politico e gestionale basato sulla galassia delle cooperative legate a Comunione e Liberazione che aveva come fiore all’occhiello la Sanità. Al tempo, a far alzare qualche sopracciglio erano solo le sue camicie hawaiane e qualche video discutibile di promozione della sua leadership. Poi arrivò il processo per corruzione e l’accusa di aver dirottato illecitamente fondi pubblici per finanziare l’ospedale Maugeri di Pavia per 70 milioni in cambio di vacanze gratis e l’uso personale di uno yacht. Travolto dallo scandalo e costretto a lasciare la Regione Lombardia pochi si ricordano dei suoi anni da senatore del Nuovo Centrodestra. Scelse il cavallo sbagliato, Angelino Alfano, e una strategia fallimentare per Ncd: sostenere il governo del Partito democratico staccandosi dal Popolo delle Libertà. E così il sogno di diventare il capo del centrodestra è svanito per sempre.

Tra le amicizie politiche del Celeste c’era anche Gianni Alemanno, da sempre vicino alla galassia della compagnia delle Opere di Formigoni. Nel 2011 l’allora sindaco di Roma era anche l’amico e delfino di Gianfranco Fini con cui aveva condiviso il passaggio da Movimento Sociale Italiano ad Alleanza Nazionale. A differenza di Fini (che ci aveva provato nel 1993) era diventato sindaco della Capitale sconfiggendo lo stesso avversario, in epoche diverse: Francesco Rutelli. Ma dopo alcune gaffe mediatiche, la gestione non eccezionale dell’emergenza neve a Roma la sua carriera si è interrotta con l’inchiesta di Mafia Capitale. La condanna di Alemanno è la massima pena prevista per il reato di corruzione: 5 anni e mezzo più sei mesi per finanziamento illecito. Secondo i giudici l’ex sindaco di Roma avrebbe ricevuto illegalmente tra il 2012 e il 2014 tangenti daL “rosso” Salvatore Buzzi, dominus delle cooperative rosse e il “nero” Massimo Carminati, ex combattente dei Nar (nuclei armati rivoluzionari): 228 mila euro attraverso la sua fondazione Nuova Italia e 70 mila euro in contanti.

Chiariamo una cosa: Formigoni e Alemanno hanno molte cose in comune ma Formigoni è entrato nel carcere di Bollate per scontare la pena stabilita dalla Cassazione mentre Alemanno ha dichiarato di voler ricorrere in appello ed è ancora presunto innocente (anche perché è stato prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa). Ma una cosa li accomuna: che scontino la pena in carcere o vincano in appello nulla cambia. Formigoni e Alemanno sono già stati condannati dall’opinione pubblica. Negli occhi degli italiani rimarrà sempre l’immagine del Celeste che si tuffa dallo yacht turandosi il naso o la foto dell’ex sindaco di Roma che abbraccia imbarazzato Buzzi a una cena. E nell’Italia gialloverde che si autoproclama “Terza Repubblica” sono il simbolo della Casta. Ogni notizia su di loro fa ricordare perché il M5S è riuscito a intercettare una fetta del Paese che da Tangentopoli in poi rivendica il carcere per i politici corrotti e gode nel veder privata la libertà. Non a caso l’effetto più mediatico della vicenda Formigoni è l’entrata al carcere di Bollate dovuto proprio allo spazzacorrotti. La norma approvata pochi mesi fa dal governo Conte esclude gli arresti domiciliari per i condannati di reati contro la pubblica amministrazione. Compreso il 71enne Formigoni.

La verità è che i 5 stelle non potevano chiedere di meglio. Dopo il flop delle elezioni regionali in Sardegna e il voto discusso nella piattaforma Rousseau sul caso Diciotti serviva un po’ di ossigeno mediatico. Le condanne di Formigoni e Alemanno sono arrivate al momento giusto non solo perché i due ricordano una stagione politica che sembra già un’era geologica, ma sono il simbolo di quella mala gestione dei politici preparati, con esperienza ma disonesti (secondo i giudici) su cui Luigi Di Maio ha costruito una retorica vincente.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/02/26/i-destini-incrociati-di-formigoni-e-alemanno-i-veri-simboli-del-fallim/41222/

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