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I leghisti a Pontida urlano, ma Salvini ha abbassato la cresta

 

Solo un anno fa Matteo Salvini, appena diventato vicepremier e ministro dell’Interno, prometteva al prato di Pontida un governo lungo trent’anni e una Lega delle Leghe europea che avrebbe rovesciato per sempre gli equilibri continentali cambiando il volto dell’Unione e costruendo una federazione di sovranismi. Tutti sanno come è finita – non trent’anni ma neppure trenta mesi – ed era lecito immaginare, al ritorno sul pratone bergamasco, almeno qualche mugugno, qualche viso accigliato. Invece l’ex-vicepremier sembra al momento conservare la sua presa sul popolo leghista: è sempre il Capitano, gli applausi e i baci sono tutti per lui e la folla lo incita ad andare avanti apparentemente dimentica delle follie dell’estate del Papeete.

Pontida è sempre un buon punto di osservazione per capire le evoluzioni del leghismo, che in 29 anni sono state moltissime. Dal discorso di Salvini è risultato chiaro che non c’è più la Lega di governo del 2018 ma è archiviata anche la Lega di lotta antisistema del 2017, quella che alla vigilia delle Politiche galvanizzava le folle parlando di “mani libere per la polizia”, abolizione della Legge Mancino e della Legge Fornero, giudici eletti direttamente dal popolo, secessione dall’Europa perché “meglio soli che male accompagnati”. Gli obiettivi sono stati aggiornati. Nuove elezioni, salvo sorprese, sono lontane. Non si tratta più di vincere ma di resistere. E soprattutto di spogliare Salvini dal ruolo dell’”uomo nero” che ha provocato catastrofi in Europa e coalizzato gli avversari contro di lui.

Così, il Salvini di Pontida 2019 evita le provocazioni e gli eccessi. Niente lazzi dal palco. Niente incitazioni a irridere i nemici ( l’unico dichiarato, peraltro, è Giuseppe Conte). Parole morbide su Luigi Di Maio. Inviti alla “giusta pazienza”, al sorriso. Persino le idee di Carola Rakete vengono definite “rispettabili”, ci sono passaggi in favore degli immigrati regolari (“fratelli che pagano le tasse”) e pure una citazione di Enrico Berlinguer costruita apposta per chiamare gli applausi dell’ex-elettorato di sinistra. Matteo Salvini deve aggiudicarsi le prossime tornate regionali – specialmente Umbria ed Emilia Romagna – e i panni da Gengis Khan che ha indossato finora non gli sono utili. Meglio situarsi altrove, un po’ San Francesco e un po’ Evita Peron, scegliendo un populismo dei buoni sentimenti al posto del vecchio interventismo autoritario.

La pianificazione politica dei prossimi mesi seguirà questo copione costruendo occasioni di mobilitazione che tengano attivi simpatizzanti e militanti ma senza concessioni a copioni rabbiosi. Al centro ci saranno almeno due raccolte di firme referendarie, una sulla legge elettorale (Roberto Calderoli sta attrezzando il quesito per cancellare il proporzionale) e una contro eventuali modifiche dei decreti sicurezza, che si affiancheranno alle numerose campagne regionali (nel 2020 ci sono anche Campania, Liguria, Sardegna e Abruzzo) con l’obiettivo di raffrorzare lo schema “popolo contro Palazzo”. L’idea di un autunno di piazza e protesta, che sembrava lo sbocco naturale dell’estromissione della Lega dal governo, sembra essere stata superata da una strategia più concreta, capace di aggregare i vecchi partner del centrodestra intorno a specifici progetti, superando la tentazione di cavalcare generici sentimenti di rivalsa contro il governo giallo-rosso.

È difficile capire se la svolta sia un’intuizione di Salvini o il frutto del pressing del partito, che teme di essere ricacciato per sempre nel ghetto dell’opposizione dal patto strategico tra Pd e M5S. Di certo, a rovinare la festa di questa Lega improvvisamente più lucida e “tranquilla” ieri ci sono state le intemperanze di alcuni gruppetti contro un operatore di Repubblica e contro Gad Lerner, avvenute di prima mattina, mentre il prato di Pontida cominciava a riempirsi. Nessun danno grave, ma la conferma che è sempre difficile silenziare gli estremismi dopo averli eccitati per tanto tempo.

 

 

 

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