Ha vissuto per quattro anni a Palazzo Chigi. Conosce le stanze del potere, ha gestito le persone e filtrato le informazioni che entrano ed escono ogni giorno nell’ufficio del presidente del Consiglio. Ha incontrato i principali leader del mondo da Donald Trump a Xi Jinping, da Theresa May a Emmanuel Macron durante il G7 di Taormina, un Consiglio europeo o l’Assemblea generale dell’Onu nell’anno in cui l’Italia è stato membro del Consiglio di sicurezza. Ha osservato i tic, le nevrosi, le sfuriate di chi è abituato a prendere le decisioni all’ultimo minuto in condizioni di stress. Ma nessuno conosce il suo nome. E questo vuol dire che ha fatto bene il suo lavoro. Antonio Funiciello, capo staff del presidente del Consiglio dei Ministri Paolo Gentiloni tra il 2016 e il 2018, ha deciso di raccontare i segreti del mestiere di chi è abituato a consigliare i leader in “Il metodo Machiavelli” (Rizzoli), uscito il 3 settembre. Un vademecum per il perfetto braccio destro del politico di turno. «I leader che gestiscono il potere sono per forza staccati dalla realtà. Hanno bisogno di consiglieri politici che conoscano il contesto e gli diano punti di vista alternativi, anche opposti. Se ci sono solo adulatori, il leader rischia di fare la scelta sbagliata».
Ecco Funiciello, forse Salvini non è stato consigliato bene negli ultimi tempi.
Bisognerà riflettere molto sulle ragioni per cui questo è accaduto. Non escludo che Salvini abbia intorno a sé chi lo rassicura e conferma il suo punto di vista piuttosto che rappresentargli in modo critico la realtà. Tutti i leader italiani hanno avuto il difetto di circondarsi di un cerchio magico. Non è un azzardo pensare che Salvini abbia avuto un numero ridotto di punti di vista e soprattutto di informazioni. Anche così si spiega la gestione improvvisata della crisi di governo.
Troppi adulatori nel cerchio magico?
I leader sono i primi adulatori di se stessi. Anche i più morigerati sono narcisi. Se intorno hai solo gente che conferma il tuo punto di vista, commetti sempre un errore perché gli adulatori sono una specie di erba gramigna che ti rovina il prato politico. Nulla di nuovo: anche Pericle e Giulio Cesare avevano tanti adulatori intorno. E se ne parla Machiavelli in un’opera scritta 500 anni fa un motivo c’è: è il vizio tipico della leadership.
I leader vivono in una bolla?
Non hanno un contatto diretto con la realtà, nemmeno un capo del governo ce l’ha. Il presidente del Consiglio non va al bar a prendere un caffè. Ma il suo consigliere se è furbo parla col barista, col tassista, il vicino di casa. Ma anche con l’imprenditore e il manager. Avere un contatto diretto con la realtà quotidiana è un privilegio che il leader non si può permettere. Deve governare. Dal capo di governo all’ultimo ministro, chiunque ha un potere esecutivo vive questo problema. Per questo è fondamentale scegliere le persone che lo circondano.
Non basta un curriculum su Linkedin. I leader come scelgono i loro consiglieri?
Bisognererebbe scriverci un altro libro. La curriculite è la malattia dei nostri tempi, ma non serve avere due lauree per essere un buon braccio destro. È una scelta basata sulla fiducia. Non puoi portarti la persona sbagliata nel tuo ufficio di Palazzo Chigi, del Viminale o nello studio Ovale. Tra due persone competenti il leader saggio assume quello con cui ha più confidenza. O meglio, un rapporto speciale.
Negli Stati Uniti è più semplice.
In Italia non ci sono scuole per funzionari dello Stato come in Francia. La destrutturazione del sistema dei partiti ha creato un forte problema di selezione del ceto politico e di chi li assiste. Il canale privilegiato è quello dei partiti, ma è un canale molto accidentato perché purtroppo in Italia non abbiamo più un sistema di partiti e questo è il grande problema del nostro Paese.
Anche Gesù ha avuto qualche problema con i suoi consiglieri.
Ma ne aveva bisogno. Gli apostoli vengono scelti proprio per stare con Gesù Cristo e per supportarlo nei tre anni del suo ministero. In quel periodo hanno percorso più di seimila chilometri a piedi. Sono stato in vacanza quest’estate in Israele e in pochi chilometri si passa dal deserto alle alture, Gerusalemme è a 700 metri sopra il livello del mare. Serve organizzazione e pianificazione. Ognuno di loro aveva più o meno un ruolo: Pietro era come un “Chief of Staff”, Giovanni intellettuale, e Giuda il tesoriere. Forse è una lettura laica, ma è stato sicuramente uno staff.
A proposito di Giuda, quanti ne vedi nella politica italiana?
Quando la politica è debole i Giuda si moltiplicano. Ma attenzione: un consigliere deve essere leale e non fedele. Il rapporto con ciò che il leader rappresenta precede la fedeltà al capo. E la fedeltà si dà all’idea più che all’uomo. Sennò il consigliere non fa bene il suo mestiere e diventa un adulatore. Quando queste idee sono deboli è difficile trovare rapporti lineari e convincenti. Ci sono molti Giuda, però i veri leader sono capaci anche di reagire ai traditori. Se ci pensate Giuda gioca un ruolo essenziale nel disegno di Gesù. Pensava di essere libero in realtà era funzionale al disegno metafisico più grande di lui.
In questa crisi di governo si è abusato del termine machiavellico. Chi ha usato “Il principe” più alla lettera?
Machiavelli non era un tattico: era uno stratega, piegava la tattica alla strategia. Di tattici ce ne sono più o meno tanti, ma nessuno ha un disegno più grande in mente. Vedo invece in giro tanti “machiavellici”, ma nella versione più negativa del termine appiccicata per secoli addosso a Machiavelli.
Quindi la crisi di governo è stata il trionfo della tattica?
Bisogna dividere questa fase in due momenti. Nella prima parte è stato il trionfo del soggettivismo politico. Ci sono stati tanti attori in gioco che hanno detto la loro e modificato lo scenario. Ma c’è stato qualcosa di più che lo scazzo tra Salvini e Di Maio. A un certo punto si è mossa la dimensione oggettiva della politica: l’interessamento dei giornali internazionali, della borghesia europea e le cancellerie dei vari Stati. Ma non è come viene caricaturizzata dai complottisti. Angela Merkel non ha alzato il telefono per parlare con Conte. La situazione è un po’ più complessa e riguarda anche la collocazione internazionale dell’Italia.
Parliamo delle stanze del potere. Nel libro le descrivi come un luogo fisico più che mentale.
Il luogo di potere è un ufficio, un corridoio vero. Come quello che abbiamo a casa. Lì ci passa la gente in carne e ossa con i loro problemi, i loro successi personali, le loro ambizioni e le loro frustrazioni. Tutte queste cose contribuiscono alle decisioni politiche, non sono un fattore secondario. La politica è anche l’insieme delle personalità e dei luoghi in cui lavorano.
Qual è stata la più grande difficoltà quando lavoravi a Palazzo Chigi?
Assegnare le stanze a le persone che componevano lo staff (ride). No, in realtà nell’anno e mezzo in cui sono stato capo di gabinetto avevamo un problema legato alla maggioranza parlamentare che al Senato era ballerina. Governarla è stato l’impegno principale. Ma anche una serie di dossier internazionali complessi.
Qual è l’errore che non deve fare un consigliere?
Deve avere sempre in testa l’idea che non esercita un potere diretto ma indiretto. Non è il terminale della decisione ma il tramite. Se lo dimentichi ci finisci sotto. Questo è un lavoro prevalentemente se non esclusivamente di coordinamento, interlocuzione e preparazione. Bisogna essere umili. Prepari, coordini, costruisci i dossier, pulisci le stanze dove si tengono le riunioni, sistemi i bicchieri, dai una pulita quando finiscono, parli con i commessi. Non bisogna mai montarsi la testa. Sembra banale ma un “uomo ombra” deve trovarsi a suo agio a vivere nell’ombra. Se non hai una forte passione per l’anonimato non è il lavoro che fa per te. Ma soprattutto: il consigliere serve anche per avere qualcuno a cui dare la colpa. Ci stai male un giorno, poi passa.
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