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Il cambiamento del governo: così Salvini riparte da investimenti e infrastrutture (con un Toninelli in meno)

 

«Non mi interessano rimpastini o rimpastoni, due ministri in più o in meno, mi interessa potere fare le cose». In mezzo al fiume di parole pronunciato da Matteo Salvini a Sabaudia, la sera del giorno più lungo del governo gialloverde, vale la pena di isolare questo concetto. Che tradotto dal politichese vuol dire quel che pensate voi: datemi qualche ministro o vi mando a casa tutti. Ma che tradisce una strategia dai tratti sempre più definiti, per comprendere la quale non occorre essere fini esegeti del pensiero del leader leghista. Una strategia che ha due parole chiave: investimenti e infrastrutture.

Fare le cose, del resto, è il nuovo mantra del ministro dell’interno – dopo la fase “buonsenso” e quella del “buon padre di famiglia” – inaugurata con la vittoria alle europee. La fase del governo del Sì, dello sblocco dei cantieri, dall’assalto all’arma bianca contro il codice degli appalti – ribadito anche ieri a Sabaudia – e del proposito bellicoso, annunciato alle parti sociali solo un paio di giorni fa, di sfidare la Commissione Europea con un piano straordinario per investimenti e infrastrutture in legge di bilancio. Un piano finanziato a debito, ovviamente, perché “se vuoi fare una manovra coraggiosa non la fai a costo zero, a meno che tu non sia mago Merlino”.

Eccola, la strategia di Salvini: aprire cantieri come se non ci fosse un domani per far ripartire l’economia e schiodare dallo zero la crescita del Pil, attraverso il finanziamento e lo sblocco di grandi e piccole opere. Una strategia per la quale è necessario un ministro delle infrastrutture leghista, più allineato di quanto lo sia Danilo Toninelli, e forse persino un ministro dell’economia più coraggioso di Giovanni Tria, che tuttavia gode della protezione incondizionata del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non ci sono piani B, per Salvini, che sa benissimo – e ha capito benissimo anche in questi giorni – che né i Cinque Stelle né il Pd vogliono andare al voto: ecco perché è convinto che avrà tutto quel che chiede, senza contropartite.

Tempi duri, insomma, per il Movimento Cinque Stelle, che si appresteranno a votare per il taglio delle tasse (finanziato con gli 80 euro di Renzi) e per il piano d’investimenti leghista senza avere nulla in cambio, o quasi. Tempi duri pure per lo stesso ministro Tria, che si troverà a dover far quadrare i diktat leghisti con i 23 miliardi da trovare per sterilizzare le clausole di salvaguardia e l’aumento dell’Iva, con l’Italia ha un passo dalla procedura d’infrazione per debito eccessivo. Tempi duri anche per Giuseppe Conte, cui toccherà l’improbo compito di trovare terreni di mediazione tra l’agenda dettata da Salvini, le prudenze del Colle, le ostilità europee, le paure dei mercati.

Tempi durissimi per l’opposizione – Forza Italia e Pd – spiazzati ancora una volta dall’abilità di Salvini nell’imporre i propri temi e nel rubare temi altrui. La bandiera degli investimenti e del taglio delle imposte oggi è saldamente in mani leghiste, e c’è da scommettere che le prossime folle che accoglieranno Salvini in festa saranno quelle delle madamine torinesi e quelle delle assise confindustriali. Quelli che ieri si spellavano le mani per Berlusconi e per Renzi e che avevano digerito fino a un certo punto il rozzo Capitano dei porti chiusi e degli abbracci con Di Maio. Dopo aver prosciugato il bacino di voti del Movimento, è lì, nell’antro del renzismo e del berlusconismo che è iniziata la nuova caccia di Salvini. La fase due è cominciata. Allacciate le cinture.

 

 

 

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