C’è una doppia lezione per la politica italiana nella crisi di governo che si è appena riaperta in Turingia e sta facendo discutere tutta la Germania. La prima riguarda le disinvolture trasformiste di cui il nostro Paese è da tempo il campione, spacciate per Realpolitik ma in realtà figlie di una concezione opaca e cinica della democrazia. La seconda parla alle formazioni sovraniste e conferma l’esistenza di un Fattore D – “D” come democrazia – che è ancora regola in Europa e che si può aggirare, irridere, provocare per motivi di consenso ma solo a patto di rassegnarsi a non governare: se si vuole governare, di quel fattore si deve tenere conto.
I fatti, innanzitutto. Alle elezioni regionali del 2019 in Turingia, piccolo Bundeslander della Germania centrale con poco più di due milioni di abitanti, vincono i post-comunisti della Linke con un rotondo 31 per cento. Al secondo posto, al 23,4 per cento, si piazza l’ultradestra della Afd che qui è presente in versione ultra-estremista, guidata da Björn Höcke, capo della corrente radicale del partito. I popolari della Cdu franano al 21,8. L’Spd è al palo con l’8,2 per cento. I Liberaldemocratici arrivano appena al 5,2. Trovare una maggioranza è complicato: per due votazioni si tenta di confermare il governatore uscente Bodo Ramelow (Linke) con un accordo sinistra-Cdu. Al terzo voto, quando il quorum si abbassa, arriva la sorpresa: ultradestra, liberali e popolari fanno convergere i consensi sul liberale Thomas Kemmerich e battono Ramelow di un voto. La manovra realizza un vero paradosso – la Regione più a sinistra della Germania si ritrova al governo una maggioranza di estrema destra – e ovviamente suscita un putiferio: intervengono i vertici nazionali dei partiti, Kemmerich è obbligato alle dimissioni, la Turingia salvo nuovi accordi in extremis dovrà tornare alle urne.
La vicenda tedesca ci dice che, nei Paesi seri, c’è un limite alla spregiudicatezza della politica, persino in questi tempi nuovi dove l’irruzione di forze antisistema sta mettendo in difficoltà un po’ tutti. Il sistema proporzionale (con cui si è votato nel Land) consente in teoria soluzioni impudenti, che possono ribaltare il senso stesso di un’elezione, ma i partiti sono abbastanza forti da impedirle quando qualcuno ci prova. E lo fanno anche contro il loro diretto interesse: sono stati i leader di Cdu e Liberali a smontare l’accordo raggiunto in sede locale e a imporre il passo indietro al governatore eletto, che pure rappresentava una bandierina nel loro palmarès. Lo hanno fatto in nome del veto posto ovunque ad accordi con l’Afd, ma il loro intervento raggiunge anche un obbiettivo più generale: evitare il discredito della democrazia, la diffusione dell’idea che votare (in questo caso a sinistra) non serva a niente perché poi le classi dirigenti fanno come gli pare.
Per l’Italia, che si prepara all’ennesima riforma elettorale proporzionale, la vicenda della Turingia è un case-history da tenere d’occhio. Da noi il disprezzo per la politica e la sfiducia nelle elezioni sono già sentimenti diffusi, che hanno suscitato tra il 2013 e il 2019 una vera ondata di voti di protesta contro l’establishment e i partiti tradizionali. Malgrado la “gabbia” del maggioritario abbiamo avuto già due governi sostenuti da maggioranze mai votate da nessuno, anzi composte da ex-acerrimi avversari: gli elettori di FI e FdI hanno dovuto ingoiare un governo Salvini-Di Maio; quelli del Pd uno Zingaretti-Di Maio. Magari un po’ di serietà in stile tedesco servirebbe a riabilitare il nostro sistema.
La seconda lezione riguarda il mondo sovranista, che lamenta da sempre l’ostilità europea e la vive come un sopruso dei cosiddetti poteri forti contro la libera espressione popolare. Senza addentrarsi nel dibattito teorico sul nuovo Arco Costituzionale eretto ovunque per tener fuori l’estremismo di destra, bisognerà accettare che esso esiste. E’ potente. Non sarà demolito, almeno a breve. Delinea un perimetro all’interno del quale bisogna stare se si vuole governare, e da questo perimetro sono escluse le strizzate d’occhio ai regimi autoritari del passato o del presente, le allusioni razziste, le evocazioni illiberali, cioè gran parte dell’armamentario propagandistico di cui il sovranismo si è finora servito per galvanizzare il suo pubblico.
Il capo dell’Afd della Turingia Bjorn Hocke è stato uno degli esponenti politici tedeschi più calorosi nelle espressioni di simpatia per Matteo Salvini: ecco, amicizie di questo tipo devono essere ben valutate se si nutrono aspirazioni di governo perché, nel Vecchio Continente, l’applauso di uno come Hocke ha un suo peso e non passa inosservato. Magari è ingiusto, magari – come pensano in tanti – è il retaggio di un insensato politically correct, ma è così e si dovrà prenderne atto se si vuole guidare uno dei Paesi fondatori dell’Europa senza suscitare reazioni di rigetto.
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