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Il coronavirus ha spazzato via la Terza Repubblica

 

I sondaggi sui partiti non servono a niente. Fotografano una realtà sfuggente, interpellano italiani frastornati. L’Italia politica è sott’acqua, la dialettica rarefatta, i leader barricati in casa, né più riunioni, né elezioni, niente. Si ha un bel dire che il Parlamento resta aperto, è una finzione, un desiderio gonfio di retorica: se si sta a casa tutti, stanno a casa anche i parlamentari, e non sembra una buona idea quella di deputati che infettano altri deputati. Se qualcuno ha un po’ di sale in zucca e coscienza dello stato d’eccezione che grava sull’Italia esplori nuovi mezzi per far lavorare da remoto anche i parlamentari e lasci la retorica fuori dalla porta.

Il fatto è che il coronavirus ha spazzato via la Terza Repubblica, e lo tsunami durerà chissà quanto, così che adesso resta operante solo il fortino di palazzo Chigi, ovviamente con gli occhi della pubblica opinione puntati addosso (ecco perché non siamo in Russia o in Cina ma in un Paese democratico). Ma chi può dire, oggi, quali partiti, quali leader resteranno in piedi dopo questa Grande Guerra?

Quello che i sondaggi ci dicono è banale, e cioè che il Paese, come sempre in questi casi, si stringe intorno al governo, al presidente del Consiglio e in buona misura ai partiti che meglio supportano la politica governativa. Così che non è difficile ipotizzare che l’oscuro Giuseppe Conte possa assurgere al ruolo storico di “Presidente della Vittoria”, come ha scritto il giornalista Ettore Colombo citando il famoso attributo di Vittorio Emanuele Orlando, sempre nel caso che tutti vogliamo si realizzi, quello della vittoria sul Covid19.

Se davvero Conte, dopo una navigazione che non potrà non essere più che tormentata, sarà riuscito tuttavia a rientrare nel porto della normalità, avrà a disposizione un bacino di consensi assai vasto, buono per il lancio di un suo partito sulla cui performance è impossibile ora fare previsioni. A oggi il Partito democratico appare come l’altra gamba del governo, come fosse l’infrastruttura organizzata e produttrice di dirigenti politici di un certo livello: le due gambe si incrociano formando un rassicurante “partito contian-democratico” che è quello che di fatto sta facendo il grosso del lavoro (va aggiunto qui il personale contributo di Roberto Speranza, ministro della salute, che sta tirando su i consensi di LeU, un partito che altrimenti avrebbe da tempo esaurito la sua spinta propulsiva).

Dunque, a guerra finita – e soprattutto vinta – il “partito contian-democratico” verrebbe a trovarsi in una posizione assolutamente centrale, per certi versi forse più di sinistra di quanto non sia oggi il Pd, in una chiave ricostruttrice di un Paese martoriato, sempre che ne avrà il respiro e la forza delle idee. Perché è qui che si parerà il vero momento della verità: avranno, i Vincitori, le capacità intellettuali e morali per la rinascita italiana? Nessuno può giurarci.

Per il resto invece tutto sembra avvolto nella nebbia. A partire dalla natura di una destra che nella Vittoria non avrebbe avuto un gran ruolo se non quello di punzecchiare ogni volta questa o quella misura lamentandone puntualmente l’insufficienza ma senza costituire in nessun momento un’alternativa credibile al governo in carica. Avete notato come sia scomparsa, seppure tardivamente, la richiesta di dimissioni di Conte? Avete notato come ormai Matteo Salvini faccia più notizia quando va (inopinatamente) a “fare la spesa” con la fidanzata di quando esterna posizioni politiche? E la stessa Giorgia Meloni, nell’immaginario degli italiani di questi giorni, non ha forse finito per occupare un quadratino di spazio mentre fino a poche settimane fa pareva la nuova leader italiana?

Così come la crisi del Covid19 ha annichilito tutto l’armamentario “ideologico” dei Cinque Stelle, tanto che il grillismo oggi pare cosa di vent’anni fa. Come dice Walter Veltroni, «Il coronavirus mette a rischio tutte le leadership», e questo, ovviamente, vale soprattutto per le leadership deboli: se rischia Trump figuriamoci Di Maio. Ma non si tratta solo di una questione personale. È che tutta l’ubriacatura populista, demagogica, falsamente democratica sta soccombendo sotto il peso di una realtà non deformata dagli abracadabra di un comico ma vera, addirittura tragica. Quanto è penosa, oggi molto più di ieri, l’immagine di Di Maio e i suoi sodali sul balcone di palazzo Chigi per festeggiare la fine della povertà? Il M5S, già in picchiata, è di fatto morto, perché lo spirito del tempo non è più il suo. E sono migliaia di voti in libera uscita.

Resta l’incognita sul futuro di Renzi e di Calenda. È troppo presto per capire se sulle macerie post-Vittoria (sempre che…) esisterà uno spazio per posizioni più centriste e se queste potranno convivere con il “partito contian-democratico”. Al momento, gli italiani hanno altro da pensare, com’è giusto, e non è ai piccoli soggetti politici che guardano. Ma non è detto che i citati protagonisti non stiano già pensando a cosa fare da grandi, a guerra finita.

 

 

 

 

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