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«Il fatto non sussiste»: Ignazio Marino assolto dalla Cassazione

«Il fatto non sussiste». La Corte di Cassazione assolve, senza rinvio, l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino nel cosiddetto procedimento sugli scontrini. Il terzo grado ha accolto la richiesta della stessa Pubblica accusa, tenuta dal Pg Mariella De Masellis, che per l’allora primo cittadino aveva chiesto l’assoluzione. Dopo sei anni, un assoluzione in primo grado e una condanna a due anni in Appello, si chiude il processo che ha decretato la fine della giunta Pd di Marino. Sotto accusa era finito l’uso, ritenuto illecito, della carta di credito in dotazione al sindaco, utilizzata per pagare 56 cene. Tuttavia non ci sarebbe stato reato.

Marino: «Ha vinto la verità»
«Hanno vinto la verità e la giustizia. Era ora. La sentenza della Cassazione non rimedia ai gravi fatti del 2015, alla cacciata di un sindaco democraticamente eletto e di un’intera giunta impegnati senza fare compromessi per portare la legalità e il cambiamento nella Capitale d’Italia. Una ferita per la democrazia che non si rimargina». Lo dichiara lo stesso Marino dopo la lettura del dispositivo. Il suo legale, Enzo Musco, ha detto: «Giustizia è fatta. Sono contento che il pg abbia integralmente sposato la nostra tesi difensiva e abbia ricordato a noi tutti l’autonomia della valutazione giuridica, il che vuol dire che il giustizialismo politico deve rimanere fuori dalle aule dei tribunali». Il professionista ha aggiunto che «gli accusatori politici e materiali di questo processo, rappresentanti dell’attuale amministrazione comunale erano gravemente in malafede. A tal proposito invito a rivedere quel video di Marcello De Vito (presidente dell’Assemblea capitolina arrestato nell’inchiesta sul Nuovo Stadio della Roma, ndr) pubblicato il 2 ottobre 2015 dove si evincono le modalità con le quali si volevano acquisire i documenti contabili della Giunta Marino. Finalmente oggi è stato restituito l’onore che merita al professor Marino».

L’accusa dei pm di Roma
Le cene sotto indagine, per un ammontare di 13mila euro (somma già restituita da Marino) sono state svolte tutte nel 2013. La prima a non tornare è del 6 settembre 2013. Nei giustificativi risulta con l’ambasciatore del Vietnam. «No, assolutamente», ha detto successivamente la segretaria dell’ambasciatore, Dang Thi Phuong, «è stato solo un incontro istituzionale, finito lì». Il 23 settembre è alla pizzeria Puccini di Milano. Marino ha dichiarato di essere stato con alcune persone di una casa editrice, spendendo 210 euro. La seconda è del 26 ottobre successivo al ristorante “Sapore di Mare” di Roma, in cui il sindaco ha dichiarato di aver speso 150 euro e di essere stato con esponenti della Comunità di Sant’Egidio che nei giorni successivi ha smentito. Il 3 novembre, invece, è di nuovo a Milano, al ristorante Bento Sushi, in cui risulta essere stato con rappresentanti dell’Anci. Il 26 dicembre è la volta della cena al ristorante Girarrosto Toscano di Roma. Un convivio in cui il primo cittadino spende 260 euro. Nei giustificativi risulta «cena offerta per motivi istituzionali a rappresentanti della stampa». Tuttavia il titolare del ristorante ha smentito, affermando che quel giorno «Marino è venuto a mangiare con i familiari». Particolare, però, smentito anche dallo stesso sindaco, secondo cui quel giorno la sua famiglia non era a Roma. Dagli atti, poi, risulterebbe una seconda cena al Girarrosto Toscano. Infine, c’è quella del 27 luglio 2013 alla Taverna degli Amici. Secondo i giustificativi, si è trattato di un convivio «per motivi istituzionali». Il ristoratore ha smentito, affermando: «Era con la moglie».

Assolto in primo grado e condannato in Appello
Secondo il Tribunale di Roma, però, non era stato commesso alcun reato da parte dell’allora sindaco. Per il giudice «appare evidente che eventuali errori» nelle «dichiarazioni giustificative non sono suscettibili di rivestire alcuna rilevanza in questa sede penalistica potendo tutt’al più costituire indice di un sistema organizzativo improntato a imprecisione e superficialità». Il giudizio, però, è stato ribaltato in Corte d’Appello, dove i magistrati hanno ritenuto Marino colpevole dei reati, condannandolo a due anni.

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