Dopo l’informativa del ministro Boccia in Consiglio dei ministri, la Liguria ha provveduto, la regione di Emiliano ancora no
di Manuela Perrone
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Non è bastata l’informativa, con annesso invito a provvedere, del ministro degli Affari regionali Francesco Boccia, al Consiglio dei ministri del 25 giugno. Né è stata sufficiente l’ulteriore nota del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, datata 3 luglio. La Puglia di Michele Emiliano, che andrà al voto il 20 e 21 settembre, non ha ancora adeguato il proprio sistema elettorale alle disposizioni dei princìpi costituzionali e alle disposizioni della legge 20/2016 volte a garantire l’equilibrio nella rappresentanza tra donne e uomini nei Consigli regionali. Niente doppia preferenza di genere, nessun meccanismo per garantire quote di lista.
Adesso, però, il governo ha lanciato un ultimatum. Con atto del premier, il 23 luglio, è partita una diffida alla regione «ad adeguare entro il 28 luglio» le sue norme: decorso inutilmente tale termine – si legge – «si fa riserva di adottare ogni ulteriore atto di cui il governo ha facoltà secondo legge». In altre parole, in caso di inottemperanza, l’esecutivo potrebbe per la prima volta utilizzare i poteri sostitutivi.
L’esempio della Liguria
Gli occhi sono dunque puntati sul Consiglio regionale del 28 luglio. Anche perché, tra le regioni che andranno alle urne a settembre, la Puglia è rimasta l’unica senza una legge adeguata alla legis€. La Liguria di Giovanni Toti, infatti, segnalata a fine giugno tra le sei inadempienti (insieme appunto a Puglia, Calabria, Valle d’Aosta, Piemonte e Friuli Venezia Giulia), ha provveduto approvando prima in Giunta e poi all’unanimità in Consiglio un disegno di legge che prevede la doppia preferenza e l’alternanza di genere nella formazione delle liste: ogni partito dovrà stilare gli elenchi su base provinciale senza superare il 60% di candidati per uno dei due generi.
Nel Consiglio pugliese 5 donne su 51
Riuscirà la Puglia a fare altrettanto? Certo, le resistenze sono fortissime, in un Consiglio regionale formato da sole 5 donne su 51. Le associazioni, locali e nazionali, sono da anni sul piede di guerra. «Vigileremo – promettono Rosanna Oliva di Rete per la parità e Donatella Martini di DonneinQuota – affinché non si ricorra ai trucchi ben noti per annacquare i provvedimenti, come quello di far scattare le norme dalla prossima consiliatura, scavalcando la tornata elettorale alle porte».
L’amarezza delle associazioni
È Oliva – alla cui battaglia l’Italia deve la storica sentenza della Corte costituzionale che nel 1960 bocciò la norma che impediva alle donne l’accesso alle cariche pubbliche aprendo loro le porte della magistratura e di altre importanti carriere – a rivelare tutta l’amarezza: «Quella della Puglia è una vicenda triste, dolorosa. Dispiace vedere ancora, dopo tanti anni, la necessità di lottare semplicemente perché siano rispettate le disposizioni di legge». E pazienza se spesso si arriva al risultato per mera convenienza politica: varrà comunque per il futuro.
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