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Il Governo fragile al bivio emiliano: le paure della maggioranza

VERSO IL VOTO DEL 26

Lo stanziamento di 345 milioni per chi è stato colpito dal sisma del 2016 e ancora non è potuto rientrare nella sua abitazione, insieme ad altri 28,4 milioni destinati alla sola Emilia Romagna per i danni da maltempo sono invece una classica mossa pre-elettorale

di Manuela Perrone

24 gennaio 2020


Regionali in Emilia Romagna, come si vota e gli errori da evitare

3′ di lettura

La pioggia di rassicurazioni sulla tenuta del Governo dopo le elezioni di domenica 26 gennaio in Emilia Romagna è direttamente proporzionale alla paura. Del Pd di una sconfitta, che sarebbe ancora più bruciante di quella umbra. Del M5S di un’implosione, che le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico non scongiurano. Del premier Giuseppe Conte di non riuscire a gestire le conseguenze di un’eventuale avanzata della Lega di Matteo Salvini nella regione rossa per eccellenza.

I provvedimenti pre-elettorali
Alla vigilia del voto è in questo coacervo di timori che la maggioranza si muove. Cercando di esorcizzarli. Il decreto sul taglio del cuneo fiscale varato giovedì sera, 23 gennaio, dal Consiglio dei ministri è insieme sintomo e tentativo di cura: un segnale di coesione da un quadripartito spaesato e sfilacciato. Lo stanziamento di 345 milioni per chi è stato colpito dal sisma del 2016 e ancora non è potuto rientrare nella sua abitazione, insieme ad altri 28,4 milioni destinati alla sola Emilia Romagna per i danni da maltempo sono invece una classica mossa pre-elettorale.

La partita di Zingaretti
Il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, è sul filo: se il candidato governatore Stefano Bonaccini dovesse confermarsi alla guida della regione potrebbe tirare un sospiro di sollievo e procedere con più forza alla costruzione del nuovo partito largo e inclusivo già annunciato nelle scorse settimane. Se invece dovesse perdere, l’annuncio preventivo di un congresso entro il 2020 potrebbe non bastare a evitare la resa dei conti interna. È a lui che Salvini si riferiva maliziosamente giovedì quando parlava di «altri leader di maggioranza che potrebbero dimettersi a breve».

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Il caos nel M5S
Non aiuta certamente la crisi dei Cinque Stelle, la cui unica attesa per il verdetto di domenica riguarda la soglia: se sopra o sotto il 5%. Risultato misero che Di Maio ha già affrontato con le sue “dimissioni preventive”. Ma anche all’interno del M5S una disfatta del Pd avrebbe conseguenze: indebolirebbe l’ala riformista filodem che punta a far confluire il Movimento nel campo largo progressista e rafforzerebbe quella “neutralista” che vuole mantenere il M5S terzo, ago della bilancia, bussola. A cascata, ne soffrirebbero lo stesso Governo e soprattutto il premier, che invece del campo largo alternativo alla destra a trazione salviniana punta a fare il federatore.

Renzi alla finestra
In tutto questo resta l’incognita di Italia Viva. Giovedì Matteo Renzi ha pesantemente attaccato i Cinque Stelle: «Sono finiti». Per ora con i suoi smentisce chi gli attribuisce la volontà di far cadere l’Esecutivo se Bonaccini fallisse e addirittura di avere già in tasca un accordo con la destra. Ma all’orizzonte c’è lo scontro sulla nuova prescrizione, che Conte ancora non è riuscito a smussare. E l’incognita sulla verifica di governo e sul nuovo cronoprogramma delle riforme, che potrebbe acuire le tensioni tra i partiti anziché allentarle.

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