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Il governo non pensa ancora alla fase 3 perché ha paura di tornare alla fase 1

I dati del contagio continuano a essere buoni (“solo” 92 morti in più) nel governo serpeggia come una nuova paura di fare un passo falso proprio sul più bello. E infatti sul suo tavolo resta persino l’opzione di un clamoroso back, cioè del ritorno a qualche forma di chiusura, se le cose non dovessero filare per il verso giusto. Non si vuole rischiare nulla, la fase 3 non è ancora decisa. E la paura produce caos, come vedremo a proposito dell’ideona di Francesco Boccia di arruolare 60mila persone per compiti di aiuto all’ordine pubblico.

La paura, dicevamo. Le immagini della movida, degli assembramenti nelle piazze su alcune spiagge, il sentore che sia passato il tana-libera-tutti sta impensierendo il famoso Comitato tecnico scientifico, la cui autorità in quanto organo collegiale si è un po’ smarrita ma i cui membri sono sempre molto ascoltati soprattutto dal ministro della Sanità Roberto Speranza.

Non a caso fin dall’inizio della storia del Covid, Speranza è stato sempre il capofila dei “cauti” e le sue preoccupazioni sono molto presenti al presidente del Consiglio Giuseppe Conte. All’orecchio del quale parlano incessantemente i governatori del Sud, timorosi che l’apertura totale prevista per il 3 giugno porti nelle regioni meridionali un imponente numero di cittadini lombardi, emiliani, piemontesi, con il rischio di esportare quel maledetto virus che – come ha detto il professor Massimo Galli – «è ancora addosso a molte persone».

Michele Emiliano e anche Vincenzo De Luca, nonché i governatori della destra, hanno in Speranza e Boccia i ministri di riferimento per le loro istanze. Anche quest’ultimo è fra i più prudenti. Alla Stampa ha detto che, fatte le valutazioni alla fine della settimana, «potrebbe diventare inevitabile prendere tutto il tempo che serve», e se il raccordo Stato-Regioni non dovesse funzionare (non sarebbe la prima volta), «si rischia il caos”». Basta evocarlo, il caos, per renderlo concreto.

Ecco dunque come va spiegata l’idea bocciana (e bocciata) de 60mila “assistenti civici”: appunto inserendola nel quadro di una paura che rasenta l’allarmismo. Ignorata dal Viminale e, per quanto risulta a Linkiesta, anche dalla Difesa, l’iniziativa del ministro per le Regioni ha sollevato un putiferio politico, bocciata da Italia viva e Movimento Cinque Stelle e non apprezzata nemmeno dal partito di Boccia, il Partito democratico, anche se pubblicamente solo Matteo Orfini ha preso una posizione netta.

Una misura ansiogena, un “arrivano i nostri” come fossimo a Caporetto, un’iniziativa isolata, poco più che personale – concordata solo con i sindaci attraverso il corregionale sindaco di Bari Antonio De Caro – che legittimano le domande sul protagonismo di Boccia, titolare di un dicastero di serie B ma balzato in prima linea grazie a posizioni gradite al mondo grillino e a un ras come Emiliano passando per un certo ambiente di sinistra meridionale.

L’ambizioso ministro aveva persino fatto produrre le pettorine con la scritta “assistente civico”, non importa se attingendo dalla cassa del commissario Arcuri o di tasca sua, e apparendo al Tg1 per dare l’annuncio della sua bella trovata, non immaginando di compiere una figura che resterà negli annali.

Adesso, combinato un pasticciaccio di sapore “khomeinista” (chi sono e cosa dovrebbero fare questi assistenti civici-pasdaran arruolati non si capisce con quali criteri), è prevedibile che l’ideona bocciana prenda la strada del cestino, dal momento che nessuna forza politica la condivide; o quantomeno si trasformi in qualcosa di più sensato, togliendo fra l’altro la sensazione che le forze dell’ordine vere abbiano bisogno di rinforzi.

Un’altra pagina tragicomica che si staglia fra le più avventate, è proprio in una fase davvero cruciale. Sperando non sia una metafora di quello che il governo Conte ci riserva.

Il governo non pensa ancora alla fase 3 perché ha paura di tornare alla fase 1

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