Il plauso di tutto il Paese alle ricercatrici dello Spallanzani di Roma che hanno isolato in laboratorio il Coronavirus (Maria Rosaria Capobianchi, Concetta Castilletti e Francesca Colavita, 30 anni, ricercatrice precaria, sottolineo: precaria) costituisce uno dei rari momenti di orgoglio e autostima nazionali. Accade con lo sport, con le vittorie ai Festival cinematografici, e con poche altre cose. Una volta tanto, tocca alla scienza scacciare per un giorno almeno la cronica depressione italica. Bene, benissimo.
In questi momenti, la politica fa il suo. Istintivamente il governo si fa scudo dell’eccellenza italiana per oscurare un dato inoppugnabile: dalla politica, di qualunque colore, la ricerca italiana è trattata malissimo. Ieri è diventata il fiore all’occhiello. Con il mite ministro della Salute Roberto Speranza che ha avuto una botta di protagonismo occupando social e tv per annunciare al Paese il grande risultato scientifico, salvo poi – giustamente – convocare tutti i partiti (anche Matteo Salvini che già sciacalleggiava su non si sa quali inadempienze governative) per fare fronte comune sul problema.
Ma va ricordato che il ministero della Salute investe in ricerca una cifra risibile se confrontato ai budget degli Stati Uniti, della Germania e dei paesi nord-europei, per non parlare della Cina dove si stanno fondando enormi città-campus dedicate alla ricerca biomedica. Mentre nel 2019 il ministero della Salute ha stanziato, per la ricerca finalizzata, 50 milioni per finanziare tutto: nuovi progetti di ricerca, sostegno ai giovani ricercatori, costituzione di reti e infrastrutture di eccellenza. Una cifra del tutto inadeguata.
Ora c’è da augurarsi che la notizia di ieri faccia da leva per ripensare la politica della ricerca. Che può avere risultati a lungo termine, cioè fuori dall’emergenza, solo se viene sostenuta in modo permanente e strutturale.
Insomma, accade che la politica in qualche modo utilizzi i risultati scientifici per coprire suoi storici ritardi. Ma più in generale il governo forse spera in un effetto-Spallanzani per recuperare un minimo di empatia – come si usa dire adesso – con il Paese, suscitare un briciolo di orgoglio nazionale, alleviare il fatalismo di tanti italiani.
A quattro mesi dal suo insediamento, superata senza drammi la buriana delle elezioni regionali, il governo Conte fa registrare un persistente immobilismo non corretto da una “verifica” finora inconsistente; un dato negativo (-0,3) del Pil; una legge sulla prescrizione bocciata da magistrati e avvocati senza che sia alle viste una nuova normativa; un legge elettorale che forse non vedrà la luce prima che il M5s abbia deciso se entrare nel centrosinistra o no.
E i partiti, per una ragione o per l’altra, tutti fermi sulle gambe: i grillini rinviano gli “Stati generali”, il Pd non si sa se farà un Congresso o no, Renzi inquieto ma senza alternative, e a destra si comincia a brontolare contro il “Capitano” sconfitto in Emilia.
Si corre dunque per fronteggiare il virus, si rallenta invece su tutto il resto. C’è un Paese serio e c’è un Paese meno serio. Mentre la politica si barcamena e l’economia non riparte (e tantomeno l’occupazione), mentre i dossier Ilva, Alitalia, Whirlpool e quant’altro sono sempre lì sul tavolo, mentre gli sbarchi devono attendere la chiusura dei seggi, ecco che si accende la fiammella dell’eccellenza scientifica a dirci che c’è un’altra Italia. Ma fino a quando?
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