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Il maggioritario ha fallito. Per rilegittimare la politica, ora, abbiamo bisogno del proporzionale

Le leggi elettorali seguono e non precedono le forme di governo e quelle del sistema politico, finalizzato per sua natura alla conquista ed alla gestione del potere democratico nelle sue diverse forme ed espressioni. La stagione delle riforme elettorali dei primi anni ’90 si propose di spingere, attraverso quella elettorale, una riforma complessiva delle istituzioni nella direzione di attenuare la forza dei partiti afflitti da gigantismo organizzativo non più corrispondente ad una funzione nazionale, restituendo al contempo maggiore forza ai cittadini elettori.

Ne scaturirono sistemi istituzionali ed elettorali differenti, ai diversi livelli territoriali (Comuni, Regioni, ecc). A ciò si aggiunse poi la riforma del titolo V, che scardinò l’unità del sistema amministrativo e quindi politico, in favore di un regionalismo disomogeneo.
Tutte le proposte di riforma dell’impianto contenuto nella seconda parte della Costituzione, disegnata attorno ad un sistema democratico parlamentare fondato sui partiti, sono state respinte dagli italiani in sede politica, parlamentare o referendaria.

Da ultimo, il disegno di Matteo Renzi di avvicinare la forma di governo a quella in uso presso i Comuni italiani si è scontrata con la grande diffidenza che grava sempre sui proponenti e che finisce per vincere sul merito: e cioè quella per la quale ogni riforma tende, secondo la vulgata, ad avvantaggiare colui che la propone (D’Alema, Berlusconi, Renzi). Una diffidenza atavica, irremovibile, non vera, la stessa che pesa sulla credibilità delle istituzioni.

E, quindi, il modello maggioritario non è mai sbarcato nelle regole istituzionali e del sistema politico nazionale, ma ad un certo punto si è imposto in forma spuria per il tramite di leggi elettorali ispirate alle semplificazioni e al sostegno alla stabilità degli esecutivi.
Possiamo dire che il modello abbia sortito effetti positivi?

Alcuni ritengono che il bipolarismo della seconda repubblica abbia comunque in parte funzionato, agendo da catalizzatore delle coalizioni. Io ritengo che ciò sia vero solo in minima parte e che invece quell’embrione di sistema maggioritario abbia esasperato i difetti, peggiorando l’efficienza del sistema politico ed alzando inutilmente le aspettative degli elettori orientati oltre il necessario a credere nella personalizzazione della politica.

Il risultato è questo: parlamenti deboli e scarsamente rappresentativi, esecutivi esposti a permanenti tensioni e ricatti delle forze minori delle coalizioni, uso indiscriminato e patologico della decretazione d’urgenza, con pregiudizio della qualità delle leggi di riforma, moltiplicazione dei partiti anche in ragione della abolizione del finanziamenti dei partiti, a quel punto sostituito dall’esigenza imprescindibile di accedere alle cariche retribuite ed ai fondi per le attività parlamentari per funzionare ed anche per vivere. Potrei continuare.

Da ultimo, ma non in termini di rilevanza, l’esplosione di fenomeni di protesta contro il sistema politico (il populismo, vittorioso in Italia) che abbatte la funzione di rappresentanza dei partiti, cui tocca per dettato costituzionale la sorte di determinare le politiche del paese e formare le liste elettorali. Si affermano, a quel punto, i partiti personali e le piattaforme private, che per agilità e rapidità di espressione e manovra appaiono a prima vista di gran lunga più efficienti e capaci di dare risposte. Una deriva illiberale cui non corrisponde alcun aumento dell’efficenza del sistema politico, reso palese dalla stagnazione anche economica, cui nessuna ha saputo porre davvero rimedio.

Fermiamoci a ragionare. Da dove ripartire? Io dico così: da un sistema parlamentare conservato nelle sue regole originali; da una composizione della politica in almeno quattro significativi raggruppamenti o partiti; da un incremento della domanda di rappresentanza che si è rafforzata nell’epoca del populismo, proprio di fronte al disagio, alle paure, alle difficoltà delle persone, cui non corrisponde una speranza nei partiti attuali e nella politica tutta (testimoniato dall’ampliarsi dell’area del non voto politicamente cosciente); da una contestuale rilegittimazione delle forze politiche, che accettino di subire a casa propria l’affermazione di un metodo democratico di organizzazione e funzionamento.

Per fare tutto questo, l’unico sistema elettorale coerente con le finalità indicate è quello proporzionale, con una soglia di sbarramento significativa ma non elevata, accompagnato da regole di tutela dei cittadini elettori che salvaguardi la possibilità di acquisire risorse economiche (devastata dalle sciagurate leggi antipolitiche da tutti subìte con dosi diverse di ipocrisia) da usare con responsabilità e accountability, ma da usare “per fare politica”.
Se smettiamo di usare l’argomento di cosa ci conviene di più sotto una prospettiva puramente egoistica, ballando disinvoltamente tra modelli elettorali come degli ubriachi (e nel Pd qualcosa di simile va accadendo), ci avviciniamo al risultato di restituire al sistema politico italiano un futuro dentro i fondamentali della democrazia liberale moderna. Altrimenti no.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/10/31/riforma-elettorale-maggioritario-proporzionale-renzi-costituzione-tito/44164/

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