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Il ministro Boccia non ha idee e attacca imprenditori e scienziati

Sto pensando al ministro Boccia. Effettivamente se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, perché con la sua ilare ingenuità, rappresenta bene la cultura politica media del governo Conte 2.

Infatti, in una intervista sul Corriere della Sera di ieri, ripresa anche dall’Huffington Post, ha lasciato cadere due perle sulle quali ci sarebbe da sorridere se non fosse tragica la circostanza nelle quali sono state pronunciate.

Le certezze inconfutabili

La prima è l’intimazione agli scienziati espressa con la burbanza di un comandante in capo, di fornire alla politica «certezze inconfutabili» su tutti i temi che riguardano gli interventi anticoronavirus. Ma queste certezze non esistono perché nessuna scienza è in grado di fornirle, come dovrebbe sapere chi, come il ministro, ha fatto studi superiori e fa il docente universitario. Come scrisse Einstein, «Nessuna quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione; un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato», per la natura congetturale della ricerca scientifica, che procede sempre per prova ed errore.

Questo è tanto più vero in linea di principio per la medicina che è scienza «indiziaria» per eccellenza a tal punto che è persino difficile collocarla nel campo delle scienze «dure», come amava dire Sherlock Holmes al suo amico Watson.

Se questo è vero in linea di principio, lo e tanto più sul piano pratico, nel nostro caso, perché le conoscenze scientifiche sulla nuova pandemia si stanno accumulando man mano che essa evolve e si stanno faticosamente concentrando nella ricerca disperata del vaccino. Quando il vaccino funzionerà quella sarà l’unica «certezza inconfutabile», per il resto si va a tentoni, imparando dalle precedenti esperienze e testando in itinere provvisori presidi.

Medicina e politica

In sostanza Boccia chiede alla scienza ciò che non gli può dare, se non quello che ha già messo a disposizione del decisore politico: la certezza che il distanziamento fisico e le mascherine, combinati con tamponi e esami sierologici, sono in grado di rallentare la diffusione del contagio e a salvare vite umane.

Non molto di più degli interventi messi in campo nella pandemia della Spagnola, se si esclude l’efficienza del sistema sanitario, incommensurabilmente maggiore rispetto a un secolo fa, e le enormi capacità della ricerca scientifica integrata a livello mondiale.

Ma dietro la burbanza si intravedere il terrore della politica che implora la medicina di “parargli le spalle”, di cavargli le castagne da fuoco, garantendole che le decisioni chiamate necessariamente a prendere siano scientificamente fondate, nel tentativo di addossare alla medicina la responsabilità delle scelte che, invece, fanno capo esclusivamente a lei.

Ma se questo tentativo di deresponsabilizzazione della politica è già grave nella fase del “tutti a casa”, perché – come abbiamo visto – l’intervento di contenimento del contagio messo in atto da governo e regioni non è stato esemplare neppure quando tutti gli scienziati condividevano la strategia della quarantena, nel momento in cui devi ripartire diventa persino grottesco.

Ma come si fa, allora, a chiedere alla medicina come e quando «riaprire», se fino ad adesso non sono state effettivamente testate e diffuse su larga scale strategie alternative alla chiusura? Quali garanzie chiedere agli esami sierologici, ai tamponi, alla tracciabilità digitale degli infettati se solo ora e timidamente si stanno testando?

La deriva anticapitalista

Di fronte a questo momento di transizione inevitabile tra fasi diverse della lunga convivenza tra noi e i microbi, Boccia lascia cadere la seconda perla della sua ineffabile intervista.

L’intemerata contro gli scienziati dubbiosi serve a giustificare l’assenza di ogni progetto governativo di ripartenza, che altri Paesi stanno invece provando a delineare, servendosi proprio delle risultanze delle sempre maggiori conoscenze che noi stiamo incamerando sul Covid-19: non sapendo cosa dire e cosa fare, Boccia riscopre anche l’anticapitalismo da quattro soldi, che è proprio di una cultura politica purtroppo ora egemone nel Partito Democratico, e accusa gli imprenditori e gli operatori economici che vogliono ripartire, di essere «annebbiati dal dio denaro».

Sì, ha scritto proprio così, dimostrando non solo di non aver mai conosciuto un imprenditore in vita sua – eppure ce ne sono tanti in Puglia, anche nella sua Bisceglie – ma soprattutto di avere una idea degli interessi industriali premoderna.

Di fronte al Pil che sta precipitando, di fronte a intere filiere produttive che non riescono a mantenere le loro quote di mercato, di fronte al rischio di una impennata della disoccupazione, Boccia crede che chi fa impresa sia mosso esclusivamente dalla ricerca di profitti speculativi.

L’imprenditore è solo un “prenditore”, come urlano Travaglio e i Cinquestelle, che vuole mettere a repentaglio la salute di tutti per accaparrare un po’ di quattrini, senza rendersi conto che la pandemia ha messo sulla stessa barca datori di lavoro e lavoratori, consapevoli entrambi che senza impresa il collasso è garantito per tutti e che contrapporre artificiosamente salute e sviluppo sia quanto di peggio oggi la politica possa offrire a un paese smarrito e sempre più impoverito.

*Presidente Fondazione PER

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