Il potente generale iraniano Qassem Soleimani è stato ucciso, per decisione di Donald Trump, nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 gennaio. Nella sua prima intervista sull’accaduto, lunedì 6, a circa 72 ore di distanza, il capo del governo italiano spiega di non poter dare un giudizio in merito, perché «stiamo parlando di vicende delicate e complesse che, per essere valutate a pieno, richiedono anche informazioni di intelligence decisive per pesare tutti gli elementi».
In compenso, alle ore 13.04, mentre le televisioni di tutto il mondo trasmettono le immagini della folla oceanica che a Teheran assiste ai funerali del generale, accompagnate dalle minacciose dichiarazioni dei leader iraniani, Giuseppe Conte posta su tutti i profili social una sua foto da bambino, con il seguente commento: «Frugando fra i cassetti di una vecchia scrivania mi è capitata fra le mani questa foto di cui avevo perso il ricordo. Nonostante gli anni trascorsi riconosco due elementi che non mi hanno mai abbandonato: la passione per la bicicletta e la tenacia che mi induce a non fermarmi mai». La foto mostra il futuro presidente del Consiglio tenacemente in sella a una piccola bicicletta, con tanto di rotelle di sostegno, nel salotto di casa (si direbbe fermo, peraltro).
Il giorno seguente, martedì 7 gennaio, mentre su tutti i giornali gli analisti si interrogano sulle possibili reazioni iraniane e i rischi di un’escalation, si complica anche la crisi libica, su cui interviene il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in un’intervista al Fatto quotidiano. Domanda: «“Un’escalation della violenza attorno a Tripoli potrebbe essere imminente”, dice Borrell. E Haftar avrebbe preso Sirte. Pare già troppo tardi per missioni e conferenze». Risposta: «In Libia è in corso una guerra, con interferenze esterne. L’obiettivo dell’Italia è ricondurre tutti gli attori che hanno influenza su questo scenario, dalla Turchia alla Russia fino all’Egitto e agli Stati Uniti». Fine della risposta. Come quelle vecchie gag di Adriano Celentano: l’obiettivo dell’Italia è ricondurre tutti gli attori, punto. Dove l’Italia intenda ricondurli – al tavolo negoziale? alla ragione? a casa loro? – non lo sapremo mai. Probabilmente perché non lo sa nemmeno Di Maio.
Lo stesso giorno, in compenso, Repubblica riserva due intere pagine a un’intervista dell’ex ministro Lorenzo Fioramonti, che con la sua nascente formazione ecologista è considerato da molti l’uomo decisivo non solo dei futuri equilibri politici e di governo, ma anche della nuova sinistra. Alla domanda se a suo giudizio il ministro degli Esteri Di Maio abbia le capacità per gestire una crisi così complessa, risponde così: «A volte i neofiti non hanno coraggio per paura di ciò che non conoscono. Non mi riferisco solo al problema linguistico. Di Maio ha intuito. Speriamo». Quanto a lui, spiega di avere fatto parte anche del precedente governo con la Lega, cui pure era contrario, perché «me lo chiesero come un favore» (domanda: «Glielo chiese Conte?». Risposta: «No, la segreteria di Di Maio»).
Mercoledì 8 gennaio, mentre i missili iraniani colpiscono le basi americane in Iraq e sul Corriere della sera Rita Pavone assicura di non essere più salviniana di quanto non fosse a suo tempo togliattiana, essendosi limitata a ringraziare l’uno e l’altro per i loro elogi, è il turno del segretario del Pd, Nicola Zingaretti che twitta testualmente: «Scenari inquietanti di guerra arrivano dal mondo, dalla Libia e dall’Iran. Però crediamo nell’Italia unita e nella forza del dialogo dell’Europa e sosteniamo l’azione che nostro governo sta cercando di fare, soprattutto sul fronte libico, per fermare le armi».
Sinceramente, non mi sento di dire lo stesso, specialmente per quanto riguarda la fiducia nell’Italia unita, che pure ai più ingenui potrebbe apparire questione – almeno quella – risolta da un paio di secoli. Al contrario, l’asciutto e assai sommario resoconto del dibattito di questi giorni mi pare dimostri che il mondo può forse ancora evitare la terza guerra mondiale e la conseguente distruzione di ogni forma di vita intelligente. Per l’Italia è comunque troppo tardi.
https://www.linkiesta.it/it/article/2020/01/09/italia-libia-trump-iran-di-maio-conte/44995/