161. È il numero magico della fiducia. Il minimo artimetico di voti da raggiungere al Senato perché, dopo settimane di contrattazioni e discussioni, possa partire davvero il nuovo esecutivo, guidato ancora da Giuseppe Conte e sostenuto da Cinque Stelle e Pd.
È la maggioranza assoluta: 161 supera la metà esatta del totale dei senatori, cioè 321, costuito dai 315 eletti e dai sei senatori a vita.
I conti però traballano. I due partiti da soli non raggiungono la maggioranza: i pentastellati al Senato garantiscono 107 voti, cui va sottratto quello di Gianluigi Paragone, che si è detto contrario al nuovo governo. I dem a loro volta arrivano a 51, senza però il contributo di Matteo Richetti, anche lui in disaccordo con il Conte bis. Totale 156, troppo poco.
Risulta allora decisivo l’intervento del gruppo Misto: i quattro senatori di Liberi e Uguali hanno già dichiarato che voteranno la fiducia, facendo arrivare il conteggio a 160, appena sotto la soglia.
E poi ci sono quattro dei dissidenti ex-M5S (Carlo Martelli si dissocia), più il socialista Riccardo Nencini, tutti favorevoli. Totale: 165. Più che sufficiente per fare partire l’esecutivo, ma non molto incoraggiante.
Dove si potrebbe trovare ulteriore sostegno? Tolti i voti compatti dell’opposizione, che si aggirano tra 137 o 138 (sommando il totale dei 62 di Forza Italia, i 18 di Giorgia Meloni, i 58 di Matteo Salvini e togliendo quello della presidentessa Alberti Casellati, che non vota), ne restano una dozzina.
I più ottimisti contano sull’appoggio dei tre SVP, che avrebbero espresso simpatia verso l’esecutivo, e su alcuni senatori a vita, come l’ex presidente del Consiglio Mario Monti e Liliana Segre. Da contare anche l’intervento di alcuni esponenti delle Autonomie, come Pierferdinando Casini, Gianclaudio Bressa e Albert Laniece della Valle d’Aosta. Rimane il mistero su come voteranno senatori come Emma Bonino, di +Europa, che dice di non poter dimenticare «le stupidaggini del M5S» e, di conseguenza, non potrà appoggiare un secondo loro governo. E ci sarà da appurare se davvero esistono i nove franchi tiratori del M5S evocati dal leader della Lega Matteo Salvini, pronti a far cadere il governo prima ancora che venga varato. Forse è stata solo una boutade. O forse si manifesteranno più tardi, nei momenti decisivi.
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