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Il Paese della caccia alla volpe

L’Italia è il Paese in cui una scienziata di fama mondiale, come tale candidata ed eletta in parlamento, Ilaria Capua, nel 2014 è finita su tutti i giornali con l’accusa di avere procurato un’epidemia (reato punibile con l’ergastolo) e ha scoperto così, dalla stampa, di essere sotto inchiesta, e intercettata, da anni. Per avere diffuso un virus che in Europa non è mai neanche arrivato («è come essere accusati di omicidio di un uomo che è vivo», riassumerà lei, dopo). I giornali pubblicano intercettazioni che ovviamente non hanno alcun rilievo penale, ma contribuiscono a mostrificare la presunta colpevole, con il gusto consueto per i dettagli succulenti, come la collega che la definisce una «zoccolaccia». Il Movimento 5 stelle chiede le sue dimissioni e lei, senza che nessuno la trattenga, le presenta a maggio del 2016. A luglio viene prosciolta. «L’insussistenza del delitto – scrive il giudice – va affermata, peraltro, sulla base delle seguenti circostanze: mancanza prima di tutto dell’evento». Ad aprile 2018 arriva anche l’ultima parola sulla sua querela al settimanale che aveva lanciato il caso: archiviata. Il giudice, facendo riferimento alla copertina, ha ritenuto che «i termini, le frasi e le immagini utilizzate (l’uomo che, protetto da un complesso scafandro, sposta i pacchi contrassegnati dal simbolo indice di presenza di un pericolo biologico, utilizzo di titoli e sottotitoli quali: “Trafficanti di virus”, “accordi tra scienziati e aziende per produrre vaccini”, “ceppi di aviaria contrabbandati per posta rischiando di diffonderli”) siano artifizi e mere enfatizzazioni letterarie, impiegati per una personale ma fedele ricostruzione dei fatti, senza avere un carattere denigratorio e lesivo alla reputazione della querelante».

Finita al centro di ricostruzioni non meno artificiose, appena un mese prima che Ilaria Capua presentasse le sue dimissioni da parlamentare, si dimetteva la ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi (il terribile caso Tempa Rossa su cui sembrava dovesse cadere il governo Renzi, ricordate? Bene, dimenticatevelo, perché è finito nel nulla anche quello). Travolta, soprattutto, dalla consueta valanga di intercettazioni di nessuna rilevanza penale, e che qui non ricorderò, ma che funzionarono moltissimo allo scopo di romanzare la vicenda e sputtanare l’interessata.

Pochi mesi prima della Guidi, nel 2015, si dimetteva invece il ministro dei Lavori pubblici Maurizio Lupi. Mai neppure indagato, ma «sfiorato» da un’inchiesta, quella sul terribile caso «Grandi opere», pure questo archiviato. Anche perché, ha scritto il Corriere della sera, era stata «fraintesa l’intercettazione chiave». Cose che capitano.

Eppure si continua a ripetere che in Italia non si dimette mai nessuno, come dicono ogni giorno giornalisti e magistrati, mentre si intervistano reciprocamente. Del resto, se uno non ha nulla nascondere, non può aspettare serenamente che la giustizia faccia il suo corso? E nel frattempo, che bisogno c’è di prendersela tanto per qualche innocente artifizio, per qualche mera enfatizzazione letteraria? È più che naturale, in fondo, in un Paese in cui non c’è un giornalista che non si senta Émile Zola. Un altro che se fosse vissuto oggi avrebbero senza dubbio accusato di fare come Emilio Fede.

https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/29/renzi-inchiesta-fondazione-open-giudici-centrosinistra/44564/

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