Lo stato dell’arte è questo: abbiamo un governo nazionale pieno di incertezza sul da farsi contro il diffondersi del coronavirus e 20 Regioni assolutamente sicure di quel che fanno. Con 20 diverse linee, però, divise anche dalla rinascita dell’orgoglio centromeridionale contro il Nord degli untorelli padani in mascherina rigorosamente verde.
C’è una cura politica o costituzionale contro questo caos inaccettabile di fronte a un così grave pericolo, non solo sanitario ma che proietta la sua ombra febbrile su un’economia già debilitata e mette alla prova la coesione sociale della nazione? I Cinquestelle l’hanno trovata, questa cura, subito dopo aver affondato nel 2016 il referendum costituzionale – sui cui, purtroppo, Renzi aveva messo un timbro esclusivo. È la mutilazione del Parlamento, ossia il taglio del numero dei parlamentari, o delle poltrone, come dicono loro con delicatezza istituzionale. Prima la Lega, poi il Pd, si sono accodati alla scienza giuridica di Luigi Di Maio per solidarietà di governo (guai a dire di poltrone!) e gli altri per compiacere la piazza dei presunti elettori.
Una soluzione arguta, diciamo, come quella escogitata da grande giurista che siede al tavolo che fu di Fausto Gullo e Aldo Moro, di Oronzo Reale e Alfredo Biondi, di Francesco Paolo Bonifacio e Giuliano Vassalli, di Giovanni Conso e Filippo Mancuso, di Vincenzo Caianiello e Giovanni Maria Flick. Dobbiamo a Alfonso Bonafede, infatti, il rimedio per uno dei grandi problemi della giustizia italiana, la sua lentezza: ed ecco il blocco della prescrizione, il fine processo mai. E di nuovo prima la Lega, poi il Pd – sempre per la solidarietà di governo cui si accennava prima – hanno sottoscritto, votato e infine difeso a spada tratta la medicina miracolosa scoperta dal movimento del comico Beppe Grillo.
Sono solo alcuni esempi, e altri dieci potremmo trovarne senza starci troppo a pensare, specie nel campo dell’economia, che danno l’idea di una nazione guidata da partiti e organi istituzionali in decomposizione mentale, incapaci di esprimere una classe dirigente di almeno media qualità, così ben rappresentata dagli ultimi due presidenti del consiglio, Conte1 e Conte2.
Che fare allora? Saperlo! Ma certo nulla cambierà se non sapremo tornare alle radici più remote, e però (o perciò) più forti da cui si sviluppò la Repubblica Italiana.
Basta con la damnatio memoriae. È nelle forze popolari, in quelle riformiste, in quelle laiche, che va ritrovata l’energia per squarciare il velo di ipocrisia opportunismo e trasformismo che avvolge le classi dirigenti, non solo politiche, dell’Italia. Dobbiamo ritrovare una identità nazionale che non può avere le sue radici se non nel patriottismo costituzionale che ridette vigore e dignità a un Paese disarticolato dal fascismo e dalla sua sottomissione al fascismo.
Ricominciare da De Gasperi ed Einaudi, e da chi fece fruttare la loro semina. Altre vie per guardare con ottimismo al futuro, no, non ce ne sono.
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