Il M5S diviso sulla governance futura continua a perdere pezzi, nel Pd si è aperto il dibattito sulla leadership. E paradossalmente la forza negoziale del presidente del Consiglio aumenta
di Manuela Perrone
Il M5S diviso sulla governance futura continua a perdere pezzi, nel Pd si è aperto il dibattito sulla leadership. E paradossalmente la forza negoziale del presidente del Consiglio aumenta
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I partiti della sua maggioranza lo accusano spesso di essere un temporeggiatore, incline ad annunci e passerelle. Ma al dunque, quando sono costretti a guardarsi in casa, non possono dire di godere di buona salute. E così dalla sommatoria delle debolezze di Pd, M5S, Iv e Leu il premier Giuseppe Conte trae linfa vitale. E rafforza il suo potere. Ma restando vigile, ché i numeri della maggioranza al Senato preoccupano eccome.
La crisi del M5S
Il Movimento Cinque Stelle è da tempo la stampella più fragile del Governo, lacerato com’è da lotte intestine, diverbi ormai palesi sulla linea tra i diarchi Beppe Grillo e Davide Casaleggio, insofferenza dei parlamentari. Gli Stati generali, su input del garante, sono rinviati all’autunno, comunque dopo le regionali di settembre, ma non c’è intesa sulla governance futura né su come arrivarci. Il risultato è la progressiva emorragia dai gruppi: da inizio legislatura, tra espulsioni e addii, il M5S ha perso 25 deputati e 13 senatori.
L’allarme al Senato: per la maggioranza 167 voti
A Palazzo Madama in quattro dal Movimento hanno fatto le valigie in direzione della Lega: Stefano Lucidi, Francesco Urraro, Ugo Grassi e, da ultimo, Alessandra Riccardi. Un passaggio, quello di martedì 23 giugno, che ha sancito la grande difficoltà dei numeri in Senato per il Governo Conte 2. Perché la somma dei senatori dei quattro partiti (95 M5S, 35 Pd, 17 Iv, 5 Leu, 6 delle Autonomie) più sette del Misto che votano sempre con la maggioranza e due senatori a vita presenti nei momenti di difficoltà (Cattaneo e Monti) arriva a 167, sei voti sopra la soglia della maggioranza assoluta dei componenti del Senato, quella qualificata che servirà di nuovo a luglio, ad esempio, per il voto sul nuovo scostamento di bilancio che l’Esecutivo si appresta a chiedere. E tra i Cinque Stelle già si parla di nuovi addii: sotto osservazione i senatori con più ritardi nelle restituzioni, come Marinella Pacifico (già sospettata nei mesi scorsi di voler transitare nel Carroccio) o Tiziana Drago.
Zingaretti, nel mirino degli ex renziani, incalza
È troppo sottile il margine, secondo i pessimisti, perché i giallorossi possano navigare con tranquillità. Anche perché pure nel Pd il sindaco Giorgio Gori ha avviato il dibattito sulla leadership del segretario Nicola Zingaretti, che non a caso ha fatto la voce grossa. Chiedendo a Conte di «chiudere tutti i dossier» aperti da mesi, come Autostrade, ex Ilva e Alitalia, e definendo «ridicole» le divisioni per le regionali del 20 e 21 settembre. M5S e Pd non riescono ad accordarsi per correre insieme da nessuna parte, nemmeno in Liguria, e Iv si è sfilata in Puglia candidando (contro Emiliano) il sottosegretario Ivan Scalfarotto.
La forza negoziale di Conte
Ma paradossalmente, in mezzo a leader deboli o indeboliti, la forza negoziale di Conte aumenta. Anche agli occhi dell’Unione europea, che poi è il vero convitato di pietra in tutte le discussioni. Perché l’oggetto reale del contendere è la destinazione degli aiuti miliardari che arriveranno con il Recovery Fund e dunque la stesura del recovery plan italiano che arriverà a settembre. In questa ottica, i “garanti” più affidabili della capacità dell’Italia di spendere e di fare le riforme sono ritenuti in questa fase proprio il premier e ancora di più il ministro dell’Economia dem, Roberto Gualtieri. Il confronto tra i due sul taglio dell’Iva caldeggiato da Conte, sulla scia di quanto ha deciso la Germania, lo dimostra.
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