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Il prossimo bersaglio del coronavirus sono i bilanci delle città

«Le risorse stanziate dal governo per i comuni sono insufficienti, costringono le amministrazioni a tagliare ancora i servizi e nonostante questo rischiamo il dissesto». Il sindaco di Cagliari Paolo Truzzu è insoddisfatto della videoconferenza tra i primi cittadini dei capoluoghi metropolitani e il presidente del Consiglio.

«Il sindaco di Bari, Decaro, ha scherzato dicendo “Se smettiamo di raccogliere i rifiuti in alcuni quartieri nessuno se ne accorge”, ma è una situazione tragica. Il governo deve capire che l’emergenza ci ha travolti. Si guardi il trasporto pubblico: per far rispettare l’ordine dovrei avere più corse, magari anche nuovi pullman e nuovi autisti, invece non ci è concesso, è chiaro che non si può andare avanti così», dice Truzzu.

Il suo comune ha previsto una perdita di circa 7 milioni di euro, una cifra piccolissima rispetto a quelle di tante altre città italiane. Ma il vincolo del pareggio di bilancio lo costringerebbe a a nuovi risparmi, «magari sull’illuminazione pubblica, non lo so. Di sicuro le regole rigide che hanno le amministrazioni per la formazione dei bilanci dovrebbero essere allentate. C’è bisogno di flessibilità.».

All’inizio della crisi le amministrazioni locali erano finite in secondo piano, schiacciate da un’emergenza sanitaria che aveva per protagonisti i governatori regionali. Con la riduzione dell’emergenza sanitaria e l’avanzare della crisi economica, però, i comuni hanno iniziato ad alzare la voce e chiedere un intervento da parte del governo.

Un mese fa l’Associazione nazionale comuni italiani (Anci) aveva presentato un report con tre scenari possibili per le finanze delle amministrazioni: le perdite oscillavano tra i 3,7 miliardi del best case scenario e gli 8,1 del worst case scenario, con una previsione media – al momento presa a riferimento da tutti – di circa 5,6 miliardi.

La risposta del governo, contenuta nel decreto Rilancio, è di 3 miliardi totali per i comuni, cui si sommano circa 500 milioni per provvedimenti ad hoc, come Imu e tassa di soggiorno. Per la tassa di soggiorno, ad esempio, lo stato ha stanziato 100 milioni, ma nelle previsioni delle amministrazioni di tutta Italia quella cifra arriva a 600 milioni: per non creare un disavanzo servirebbe un improbabile gettito di 500 milioni proveniente dai soli turisti.

In giornata dovrebbe arrivare il primo terzo delle risorse stanziate dal governo, circa un miliardo di euro. Il ministro dell’Economia Gualtieri ha detto che l’esecutivo «è pronto a integrare ulteriormente il fondo per gli enti locali», come richiesto dall’Anci. E occorrerà intervenire in fretta, perché il tempo stringe: a fine luglio c’è la deadline per la chiusura dei bilanci e molti comuni rischiano di non riuscire a rispettare le regole.

Oltretutto i 3 miliardi sono destinati a ripianare il deficit per le funzioni fondamentali dei comuni (articolo 106 del decreto Rilancio). «Rientrano ad esempio le spese per l’anagrafe – dice il sindaco di Cagliari – ma i servizi connessi al turismo e alla cultura no, quando sono ormai parte integrante della vita dei cittadini in qualsiasi comune».

«C’è innanzitutto una grande differenza nella percezione dei problemi tra Stato e amministrazioni – dice Roberto Tasca, assessore al Bilancio di Milano – le funzioni fondamentali sono una quota di spesa minuscola. Se usassimo lo stesso metro dello Stato, noi a Milano non dovremmo svolgere i nostri programmi con asili nido e scuole materne, ma così la città non reggerebbe dal punto di vista sociale nemmeno una settimana».

Milano stima perdite intorno ai 550 milioni, di cui una buona parte sono dovute all’assenza di entrate extra tributarie, come i biglietti del trasporto pubblico, con incassi ridotti di due terzi: un buco di circa 290 milioni di euro. «Possiamo provare a produrre un risparmio di circa 120-130 milioni con l’applicazione dell’avanzo dal bilancio consuntivo 2019, a cui aggiungiamo altri 200 milioni dal Fondo del governo, per un totale di 330 milioni che però non bastano a colmare tutto».

Se non dovessero arrivare nuove risorse da Roma sarebbe un problema politico prima ancora che economico, dice Tasca, «perché si dovrebbe imporre alla città una contrazione dei servizi non legittima».

I comuni che poggiano la loro economia sul turismo dovranno trovare alternative alle mancate entrate dall’imposta di soggiorno: a Roma, la città più visitata d’Italia, quella cifra ammonta a oltre 130 milioni. Una perdita insostenibile per le casse della capitale, che rischia di registrare un buco da oltre 400 milioni.

Ma è un discorso che si ripete per tutte città d’arte. A Firenze, il sindaco Nardella ha paragonato gli effetti della pandemia all’alluvione del 1966 che mise in ginocchio la città. Gli fa eco l’assessore al Bilancio Federico Gianassi: «La situazione è gravissima. Serve un intervento del governo con misure di sostegno, con particolare riferimento alle città ad alta vocazione internazionale e artistica che soffrono più di altre le limitazioni alla circolazione delle persone».

Nel caso di Firenze l’assenza del turismo, ha spiegato il sindaco Nardella in un’intervista al Corriere della Sera, dovrebbe creare un buco da 49 milioni di euro per la sola imposta di soggiorno, cui vanno sommati 18 milioni per gli abbonamenti dei bus turistici e 15 milioni di biglietti dei musei comunali. In totale si ipotizzano mancate entrate per 200 milioni rispetto alle previsioni originarie per il 2020, su un bilancio complessivo da 630 milioni.

A Venezia alle mancate entrate si somma il problema legato ai trasporti pubblici, con il comune che stima un calo di 100 milioni di proventi di cui l’85 per cento arrivava dai turisti. I battelli sono, per molti veneziani che abitano sulle isole (circa 25mila su 75mila), l’unico mezzo di trasporto. Se il lockdown aveva permesso alla città lagunare di mettere in cassa integrazione 1500 dipendenti della società di trasporto, con il diminuire delle restrizioni torneranno a muoversi tutti i cittadini, e sostenere i costi senza le entrate dei turisti di gestione diventerà impossibile.

I comuni che già prima della pandemia avevano una situazione finanziaria traballante, hanno accusato ancor di più la crisi delle ultime settimane. È il caso di Napoli, comune in predissesto dal 2012. Il problema non saranno tanto le mancate entrate dal turismo: 11 milioni la stima del capoluogo campano. «Ma nel calcolo totale, per noi e tutte le città nella nostra situazione – dice il vicesindaco con delega al Bilancio Enrico Panini – sarà impossibile rientrare nei parametri imposti dal governo. Sono circa 300 comuni italiani in predissesto, prevalentemente nel Mezzogiorno, e in caso di reiterato mancato raggiungimento degli obiettivi di rientro c’è l’automatico scioglimento del comune».

Al Sud, infatti, molti comuni registrano voragini nei loro bilanci. Durante la videoconferenza con il presidente del Consiglio, il sindaco di Catania Salvo Pogliese, ha chiesto maggiori aiuti soprattutto per le città in dissesto.

«È necessario – ha detto Pogliese – modificare le regole per i comuni in dissesto per poter utilizzare le misure predisposte per l’anticipazione di liquidità ex dl 35 e per la rinegoziazione dei mutui con la cassa depositi e prestiti. In caso contrario sarebbe una doppia inaccettabile penalizzazione. Occorre anzitutto dare le stesse opportunità anche ai comuni dissestati che hanno approvato in giunta e in consiglio comunale l’ipotesi di bilancio stabilmente riequilibrato».

Ma anche per i comuni con una condizione finanziaria solida la crisi rischia di diventare insostenibile sul lungo periodo.

L’amministrazione di Trieste potrebbe riuscire a rispettare il vincolo del pareggio di bilancio, nonostante tutto. «Fino ad oggi – dice il vicesindaco Paolo Polidori – abbiamo ragionato senza calcolare l’intervento dello Stato, ma solo il contributo della regione che ci darà una piccola mano». Il comune dovrebbe registrare una diminuzione di 11,6 milioni alla voce entrate, e un aumento delle spese di 5 milioni. Ma i tagli, soprattutto a eventi culturali e opere pubbliche, e la possibilità di sfruttare l’avanzo di bilancio del 2019 dovrebbero bastare a garantire il pareggio di bilancio.

«Quello che dobbiamo scongiurare è che la nostra situazione convinca il governo a non aiutarci, temiamo che i fondi vadano solo a chi ha gestito peggio i propri conti e non a noi che abbiamo fatto di tutto. Senza contare che abbiamo già raschiato il fondo del barile e nelle nostre previsioni non ci sono altri gravi imprevisti per il prossimo autunno».

Il prossimo bersaglio del coronavirus sono i bilanci delle città

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