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Il rischio che tutto resti come prima

 

In questo continuo rimpallo di responsabilità tra regioni e governo centrale e di questi nei confronti dell’Europa a cui si aggiungono i vari partiti, emerge quella classica situazione in cui, come dice un vecchio adagio popolare, tutti i nodi vengono al pettine. 

Andrà tutto bene ripete lo slogan che ha caratterizzato queste prime cinque settimane di lockdown. Ma se andrà bene (tutto?) significherà in realtà aver spostato avanti nel tempo, per un periodo però molto breve, tutti i nostri vecchi nodi senza aver estirpato nessuna delle cause che li hanno generati. Solo chi avrà la forza di proporre e proporsi al paese e all’Europa (ai mercati finanziari internazionali) una credibile via di uscita, smettendo di guardare con concetti vecchi la nuova realtà, potrà assumere un ruolo guida.

La pandemia ha messo a nudo tutti i difetti che sono andati cumulandosi in questi ultimi trent’anni, come dimostra chiaramente il fatto che il PIL italiano è ancora molto al di sotto di quello che avevamo nel 2008, quando esplose la grande crisi internazionale e a differenza di quasi tutti gli altri paesi europei che hanno invece ripreso a crescere. 

Dopo questi tre decenni il debito è ancora molto superiore al PIL (dal 135% di oggi rischia di arrivare al 180%). Possiamo sintetizzare questa situazione ricordando la favoletta della formica e della cicala. Naturalmente la formica rappresenta l’Europa del nord, la cicala quella del Sud, con l’Italia in prima fila. 

Aldilà delle singole incapacità e incompetenze ci sono almeno due ragioni di fondo di questo caos e che sono un lascito della nostra storia. Un lascito che alcuni conoscono bene, specie tra i partiti e qualche intellettuale, ma che nessuno osa, non soltanto affrontare sul serio, ma almeno rammentare, tanto meno in pubblico (con qualche rara eccezione, ma a cui non viene mai dato il sufficiente risalto dai media).

In primo luogo è un deficit di governance che discende dal nostro assetto costituzionale e da una legge elettorale ormai di fatto proporzionale. L’interazione tra questi due vincoli ha un effetto micidiale, soprattutto da quando il sistema partitico è diventato tripolare, con un partito-movimento di chiara impostazione populista e costituito da persone senza alcuna esperienza politica e sovente anche senza competenze in posizioni di governo.

Persone che hanno espresso una cultura per cui tutti quelli diversi sono come diavoli, salvo poi scoprire (con le elezioni) che senza almeno alcuni di questi diavoli non avevano la maggioranza per fare il governo. Sappiamo bene come è finita. Ma bisogna ricordare che il governo gialloverde ha fatto comunque in tempo a varare due misure che sono tanto demagogiche quanto inefficaci ai fini della crescita (quota 100 e reddito di cittadinanza) mentre costituiscono nel contempo un ulteriore aggravio dei conti pubblici. 

Dopo la pretesa di Salvini di “pieni poteri”, il cambio di governo da gialloverde in giallorosso non ha cambiato realmente la sostanza della governance: in ogni caso si tratta di maggioranze divise al loro interno, formatesi per necessità e con culture e programmi tra loro assai distanti. Inoltre manca chiaramente una leadership, tanto nel governo quanto nei partiti della maggioranza (con l’eccezione di Italia Viva, che tuttavia in queste circostanze ha un potere alquanto limitato). 

Solo un evento eccezionale come la pandemia ha messo la sordina ai contrasti, ma il fuoco arde sotto la cenere e si presenta con quei rimpalli di responsabilità che sono sotto gli occhi di tutti. Ma soprattutto con quelle mancanze, inefficienze, silenzi assordanti (delle varie burocrazie, centrali e periferiche) che si protraggono da almeno due mesi (ancora si discute sulla disponibilità delle mascherine continuamente promesse, né si fanno i tamponi come dovrebbero essere fatti, soprattutto medici e operatori sanitari sono stati abbandonati e costretti ad arrangiarsi).

Veniamo alla seconda ragione, che è peraltro assai strettamente collegata alla prima. Si tratta delle misure dell’Europa e del rapporto con la Bce, senza la quale con ogni probabilità ci troveremmo già in una situazione non troppo lontana da quella dell’Argentina, che sta andando verso il quarto default. In questo caso è utile procedere per singoli punti. 

A) Il primo punto mette a nudo la demagogia ma pure l’inconsistenza dei vari sovranismi: senza la Bce (e quindi l’Euro) non si potrebbero prendere quelle misure che hanno tenuto a freno la speculazione internazionale e dare prestiti a lunghissimo termine e a tassi bassissimi. 

B) Senza il Recovery Plan appena varato (anche se non è chiaro quale sarà la somma finale stanziata) l’Italia sarebbe priva della possibilità di avere fondi pubblici per investire, anche se probabilmente riguarderà solo quei settori che sono stati messi sotto scacco diretto dalla pandemia (sanità e collegati). 

C) le resistenze del Nord Europa hanno dei forti motivi di realtà: non solo l’entità e l’anzianità del debito, ma anche il fatto che ci trasciniamo da decenni un’evasione fiscale che supera i 110 miliardi l’anno e un’economia nera che oscilla tra il 17 e il 20% del PIL, una giustizia lentissima e invadente e una burocrazia pletorica, accavallata, inefficiente e inefficace (sia per la confusione normativa sia, sono convinto, per una arretratezza propriamente organizzativa e di gestione). Questo significa però che il Recovery Plan da noi non funzionerà, in buona parte si disperderà in rivoli improduttivi e con tempi inadeguati. 

D) I dati sulla produttività del lavoro e in generale dei fattori evidenziano un distacco crescente sia dai paesi europei che dagli USA. Questo avviene da circa 25 anni ed evidenzia le responsabilità dei privati! Il significato di questo dato è che la massa delle imprese (spesso troppo piccole e confinate in settori troppo tradizionali per non subire la concorrenza internazionale anche da parte di paesi emergenti) ha cessato da anni di fare i necessari investimenti. Anche per questo l’occupazione ristagna, soprattutto nel Sud, e si sono diffusi lavori precari con bassi salari, spesso senza contributi e a tempo parziale se non da lavoratori stranieri considerati irregolari dal nostro ordinamento ma tollerati per convenienza.

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