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Il Russiagate è la pistola alla tempia di Salvini. E ora la Lega rischia grosso

 

Il Russiagate italiano è senz’altro più modesto del suo omologo austriaco, che a maggio costò il governo ai sovranisti locali: a Vienna la contrattazione “rubli in cambio di amicizia politica” coinvolse direttamente il vice-cancelliere e capo dell’ultradestra Heinz Christian Strache; a Roma tocca un personaggio minore, più defilato, il signor Gianluca Savoini, sicuramente in rapporti con la Lega ma privo di incarichi istituzionali. E tuttavia per il Carroccio l’inciampo è molto serio perché mentre nella vicenda Strache la risibilità della trattativa risultò immediatamente chiara – la presunta oligarca russa era addirittura un’attrice – in questa storia di petrolio e tangenti non ci sono nomi, né cognomi, e persino l’audio delle registrazioni è diffuso solo in forma scritta senza possibilità di verifica. Insomma: dire “è una bufala, un trappolone, Savoini si è fatto incastrare da chissà chi”, è lecito ma non dimostrabile; altrettanto legittimo è il sospetto che gli spezzoni di BuzzFeed, solo in parte resi pubblici, siano l’arma di un ricatto al governo o a suoi esponenti.

Per noi italiani, magari, non è un gran problema. Siamo il Paese della Lockheed e di Mino Pecorelli, nella nostra storia recente abbiamo fatto patti segreti un po’ con tutti, dal terrorismo palestinese alla mafia, subendone le relative pressioni, e pure coi russi c’è una solida tradizione di scambi oltre i blocchi di appartenenza: non solo l’oro di Mosca al Pci (poi sostituito dalle intermediazioni sul gas) ma anche l’avventura della Fiat a Togliattigrad, caso più unico che raro di buoni affari con il nemico in piena Guerra Fredda. In Europa, però, tutto questo non risulta così normale. E il sospetto che la Lega, quindi il nostro governo, sia legato a doppie fedeltà – magari perché coartato da qualche dossier imbarazzante – è potenzialmente catastrofico in una fase di riassetto degli equilibri dove la fiducia è già al minimo.

Nello scenario interno le conseguenze dell’affaire sono state subito evidenti. Solo una settimana fa la Lega e Matteo Salvini sembravano arbitri assoluti del destino dell’esecutivo nonché delle sue scelte future, col Movimento Cinque Stelle costretto dal risultato europeo a un ruolo di comprimario sotto scacco. All’improvviso la trama sembra ribaltata. I grillini rompono il tavolo sull’autonomia differenziata denunciando posizioni incompatibili su scuola e salari e lanciano l’idea di una Commissione d’Inchiesta sui finanziamenti a tutti i soggetti politici e fondazioni collegate. Il premier Giuseppe Conte entra a gamba tesa nella partita degli sbarchi dicendo chiaro e tondo che il Viminale non può far tutto da solo. L’alleato di governo, dopo settimane di quiescenza e soggezione nei confronti dei leghisti ha rialzato la testa su tutti i temi che gli competono. Salvini può minimizzare i problemi, come ha fatto nella diretta su Facebook di ieri sera, invitando ironicamente chi volesse farlo a cercare rubli in giro, ma le difficoltà per lui e per la Lega restano. Non sono in Italia. Il Carroccio è costretto ad andare a Canossa dalla neo-presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen per assicurarsi un posto “pesante” di Commissario che altrimenti sarebbe a rischio.

Non sono tutte conseguenze dirette del Russiagate, certo. Ma di sicuro sono manifestazioni di una inedita insicurezza leghista, di un gioco in difesa che mai avevamo visto prima nel Carroccio. È cambiato lo stato d’animo. C’è un’inchiesta, tra l’altro, aperta dalla Procura di Milano che ha già indagato Savoini e ascoltato qualche persona informata dei fatti.

La vicenda rischia di diventare un tormentone, forse una mina vagante su due temi cruciali del salvinismo: lo strappo col passato e la difesa dell’interesse nazionale, entrambi messi a rischio dal sospetto che elementi dell’inner circle di via Bellerio (la sede di Savoini, per inciso, è nello stesso edificio del quartier generale del Carroccio) svolgano attività parallele di intermediazione politico-economica.

Su Twitter si è ironizzato sul “sovranismo pagato da sovrani stranieri”, ma non è solo una battuta. Larga parte del nuovo elettorato della Lega – di sicuro tutto quello proveniente dall’area della destra tradizionale – si è innamorato del leghismo perché lo vedeva nuovo campione di un risorto orgoglio nazionale, più determinato e intransigente.

E ora? Forse il solo modo di uscirne sarebbe indurre Savoini a fare nomi e cognomi, raccontare dettagli e assumersi la responsabilità di quella imbarazzante conversazione, salvando il suo partito dal sospetto di affari o ricatti ancora in corso. Un faccendiere spregiudicato che cerca un profitto, in Italia, sarebbe presto perdonato e dimenticato – ogni stagione politica ha avuto i suoi e qualcuno come Primo Greganti è diventato persino un eroe per i “suoi” – mentre sarà difficile arginare l’affaire se prenderà la piega di un fumoso complotto internazionale.

 

 

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