A minacciare davvero la fragile tenuta del governo non sono l’autonomia, l’Ilva, la Tav o la Flat tax, figuriamoci – Di Maio e i suoi hanno capito che la loro assicurazione sulla vita consiste nel cedere flessuosamente a ogni richiesta di Salvini – no: la scossa verrà da dentro il movimento Cinque stelle e a darla materialmente sarà Di Battista, con la regia di Davide Casaleggio.
Dopo il disastro delle europee l’impresario-demiurgo dei Cinque Stelle s’è convinto di due cose: che la leadership di Di Maio ha fallito e che per salvare il salvabile – brand e sopravvivenza del movimento – occorre un ripiegamento. Una ritirata che riporti all’opposizione il Movimento, lontano da un potere che i grillini hanno dimostrato di non sapere gestire né usare.
Può essere raccontata come una ritirata strategica ma è l’ammissione tacita di una sconfitta. Casaleggio ha in mente infatti una demolizione controllata dell’attuale assetto del movimento: Di Maio e il gruppo parlamentare – è la sua analisi – non sono più in grado di reggere la situazione e lo spettacolo che stanno dando, l’essere avvinghiati alle caviglie di Salvini per sopravvivere, è avvilente. D’altra parte non c’è nel movimento un personale politico in grado di sostituire la leadership di Di Maio e governare il paese. L’ultima spiaggia è la carta Di Battista. Tornare a far casino.
Il terremoto è già cominciato e cresce di intensità con gli attacchi sempre più pesanti che Dibba porta all’intesa gialloverde, a suo “fratello” Giggino Di Maio, ai cadreghisti a Cinque Stelle. L’anima critica del movimento – così la chiamano i suoi sponsor – è pronta a scendere in campo, a candidarsi alle prossime elezioni, a correre per la leadership del partito. Le sue esternazioni stavolta sono qualcosa di più delle solite pièce, di quelle battute estemporanee lanciate dal Sudamerica tra un giro in canoa e una pennichella sull’amaca. Sono invece colpi diretti a far venir giù l’asse Salvini-Di Maio, a metter fine a una gestione dei Cinque Stelle istituzionale e sistemica e calare il sipario sul governo. Nessuna ammissione da parte di Casaleggio riguardo l’asse con Di Battista anzi smentite perentorie e accuse di mestare nel torbido a chi osserva e descrive i movimenti in casa Cinque Stelle.
Ma basta unire i puntini, collegare i fatti, per veder comparire un disegno mediatico-politico ben definito. E per capirne la logica, il fine e la direzione: chiudere con l’esperienza fallimentare dell’alleanza con la Lega, ricollocare i Cinque Stelle dentro l’area d’una vaga sinistra massimalista e moralizzatrice – da qui anche il tentativo di riposizionamento in Europa, lontano da Farage e verso la gauche – e soprattutto riportare il movimento alle origini. Restituire al popolo Cinque Stelle, che riempiva le piazze dei Vaffanculo day la sua anima catara e settaria – i puri contro i corrotti – la sua coscienza infelice di opposizione all’esistente, la favola bella che oggi ci illude, che ieri ci illuse d’essere migliori: “Onestà-onestà”.
È questa la svolta narrativa che il vertice della Casaleggio ha deciso di imprimere al copione del Truman show Cinquestelle in calo di ascolti, di voti, di credibilità. Consumata la figura di Di Maio è il momento che entri in scena l’altro avatar della ditta, è l’ora di Dibba. La storia funziona: il volontario esilio in Sudamerica, i viaggi per trovare se stesso, le gioie private del nido famigliare, i libri scritti contro le ingiustizie del mondo e però infine il richiamo della patria: il ritorno.
“Lui è il nostro centravanti, quello che ci cerve per fare gol” ha detto Massimo Bugani, socio fondatore di Rousseau, in un’intervista al Fatto quotidiano di qualche giorno fa. In realtà l’ultima risorsa che la Casaleggio può offrire al suo pubblico e all’elettorato in fuga dal movimento, succube della Lega, confuso su tutto, in smobilitazione sui temi-bandiera come Tav e legalità. Temi che uno come Di Battista potrebbe rianimare dall’opposizione dove le retoriche non pagano dazio.
L’incoronazione informale di Dibba alla leadership in pectore del movimento ha avuto luogo sabato scorso a Catania al Rousseau city lab dove sul palco Davide Casaleggio ha introdotto un lungo monologo della “coscienza critica”, pieno di doviziosi attacchi a Salvini e rasoiate agli immobilismi del governo. “Non c’è nessun asse tra me e Di Battista e nessun gelo con Di Maio” s’era però affrettato a spiegare Casaleggio, come a schernirsi di fronte a chi gli domandava come mai, nel massimo dello scazzo tra il suo bomber e Di Maio, lui si prestasse a quella kermesse. Senonché fonti interne al movimento rivelano che Di Maio alla vigilia dell’evento di Catania aveva chiesto a Casaleggio di annullare l’intervista a Di Battista. Alla fine ottenendo che si trasformasse in una semplice introduzione. Cosa che non ha impedito o ogni osservatore di farsi un’immagine plastica del tandem Casaleggio-Di Battista lanciato a bomba contro Di Maio.
Ma che il ministro del Lavoro abbia capito il gioco lo dimostra la volontà di creare una segreteria politica e una rete di coordinatori regionali come contropotere interno rispetto alla Casaeleggio. Un’iniziativa difensiva volta a creare una propria classe dirigente e una ridotta di resistenza interna in caso di rovesciamento della sua leadership. Facendo valere, se del caso, come capo politico e cofondatore, il diritto ad avere una quota decisionale nella composizione delle liste per le prossime politiche.
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