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Industrie Difesa, mille posti in meno in quattro anni: l’allarme del Senato

la risoluzione

Sì all’unanimità della risoluzione in IV Commissione a palazzo Madama: «Piano straordinario per il rilancio». Guerini: filiera precursore della ripresa

di Marco Ludovico

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Sì all’unanimità della risoluzione in IV Commissione a palazzo Madama: «Piano straordinario per il rilancio». Guerini: filiera precursore della ripresa

24 giugno 2020


4′ di lettura

Entro il 2024 i posti di lavoro scenderanno da 3.805 a 2.744: oltre un migliaio in meno, un calo del 27%. Un’erosione continua, da alcuni anni, per gli enti dell’area industriale del ministero della Difesa. Nicchie strategiche, con una serie di professionalità ad alta specializzazione, dagli arsenali della Marina Militare agli stabilimenti per la manutenzione di mezzi e armamenti. Oggi a rischio. Domani ancora di più, in assenza di interventi urgenti.

La risoluzione della commissione Difesa del Senato
«Strutture indispensabili per garantire l’efficienza e la prontezza dei mezzi e degli armamenti della Difesa». La risoluzione approvata ieri all’unanimità dalla IV commissione di palazzo Madama, presieduta da Laura Garavini (Iv), lo dice chiaro: «Sono assetti strategici ». E «il Paese non può rinunciare» a loro. Sono nove strutture in capo all’Aid (Agenzia industrie Difesa), si occupano di manutenzioni , munizioni, cordami, propellenti, spolette, dematerializzazione e conservazione, oltre lo stabilimento Chimico-farmaceutico di Firenze. Più altre sei strutture dipendenti dal Comando Logististico dell’Esercito: poli di manutenzione armi tradizionali, sistemi elettronici e telecomunicazioni, il centro Nbc (nucleare, batteriologico e chimico) di Civitavecchia. E gli arsenali della Marina Militare: a La Spezia, Taranto e Augusta. «Possono garantire lavorazioni di altissimo livello tecnologico» rileva la risoluzione. Ma sulla loro tenuta economica il documento messo a punto dalla presidente Garavini denuncia prospettive allarmanti.

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Il calo inesorabile di occupati e figure specializzate.
Le cifre snocciolate nella risoluzione sono più eloquenti di ogni considerazione. Le strutture dell’Esercito «impiegano, al 1 giugno 2020, 1.340 unità di personale civile, su un organico previsto di 2.427 unità, con la prospettiva di arrivare, al 31 dicembre 2024, a sole 694 unità». Quelle della Marina hanno «1.595 unità di personale civile, su un organico previsto di 2.639, con la prospettiva di arrivare, al 31 dicembre 2024, a sole 1.100 unità». Così «a fronte della richiesta di un sempre maggiore impegno, sia quantitativo che qualitativo, l’area industriale della Difesa attualmente versa in una condizione di particolare sofferenza» sia per le «infrastrutture che il personale». Quest’ultimo «a causa di un turn over pesantemente negativo rischia la perdita di competenze tecniche ad alta specializzazione, con inevitabili ricadute sulla capacità produttiva e manutentiva delle strutture». Le prospettive sono scoraggianti.

I rischi per la sicurezza nazionale
Il documento della IV Commissione del Senato stigmatizza i pericoli di questo deterioramento. «Sarebbe pericoloso demandare il funzionamento dei propri assetti militari solamente a dei manutentori privati, magari stranieri, fornitori dei diversi sistemi». Eppure questi enti hanno dimostrato «di modificare la propria attività in modo flessibile, adeguandosi a esigenze anche straordinarie». Come nel caso «dello Stabilimento Chimico-farmaceutico di Firenze, coinvolto nella produzione di articoli sanitari per far fronte all’emergenza COVID-19».
Gli arsenali della Marina svolgono «interventi di manutenzione e ammodernamento anche della cantieristica privata». Benché di nicchia, il livello dei risultati economici è notevole: «Nel triennio 2019-2021, l’Agenzia Industrie Difesa prevede un valore totale di produzione pari a 334 milioni di euro (247 milioni per la produzione di beni e servizi per il Ministero e 87 milioni per vendite e prestazioni a soggetti terzi)».

La sollecitazione al Governo, la revisione della legge Di Paola
La risoluzione della commissione Difesa così ricorda come «l’articolo 164 del decreto-legge 34 del 2020 (c.d. “decreto rilancio”) contiene misure per rendere più efficienti le procedure di recupero e valorizzazione di beni immobili militari». Il testo perciò «impegna il Governo a considerare gli investimenti per il rilancio dell’area industriale della Difesa come possibile importante volano per la ripresa economica del Paese dopo la grave contrazione determinata dall’emergenza COVID-19». Il documento Garavini chiede all’Esecutivo anche di «valutare una rimodulazione della tempistica di applicazione della legge n. 244 del 2012 (che è in fase di rivalutazione complessiva)». È la cosiddetta legge Di Paola: nel 2012 stabilì la riduzione degli organici militari da 190mila a 150mila più un calo del personale civile della Difesa da 30mila a 20mila entro il 2024. Oggi, se ne sta discutendo, quella legge potrebbe avere un ripensamento. Incrociano le dita i capi di Stato Maggiore: Salvatore Farina, Esercito; Giuseppe Cavo Dragone, Marina Militare; Alberto Rosso, Aeronautica. Chi più, chi meno, tutti sotto stress per la riduzione del personale. Con i limiti conseguenti di capacità operativa delle rispettive Forze armate.

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