Si potrebbero scrivere un certo numero di trattati di scienza politica e teoria della comunicazione solo sul titolo apparso ieri su Repubblica: «Il premier sta con Zingaretti: “È vero, ci serve un’anima, ma ora approviamo la manovra”». Raramente si è sentita una confessione più disarmante. Personalmente, non ricordo di avere mai sentito prima d’ora un politico dichiarare che il suo governo non avesse un’anima (se non al momento di farlo cadere, s’intende). Sembra quasi di vederli, e verrebbe persino da compatirli, questi poveri corpi inanimati riuniti in Consiglio dei ministri, impassibili e inerti, esposti a tutti i venti e a tutte le tempeste della politica. Ancora più indicativo, poi, l’ordine delle priorità, riportato implacabilmente nell’articolo: «La prima cosa — dice Conte ai suoi collaboratori — è approvare velocemente la manovra». Ma il suo piano «è ormai esplicito», assicura Goffredo De Marchis, che firma il retroscena. «Dopo la finanziaria – prosegue Conte – voglio lavorare solo su questo: dare un senso a questa maggioranza e alle sue proposte. Un’anima, un sentire comune».
Contrario a ogni eccesso, non mi soffermerò sull’idea di dare un senso alle proposte del governo dopo la finanziaria, cioè dopo averle votate e fatte approvare. Sebbene sia difficile credere che a nessuno dei suddetti collaboratori sia venuto istintivo alzare la mano per domandare almeno: ma non sarebbe meglio prima?
Sono giorni che nella maggioranza va avanti questo surreale dibattito teologico-politico sull’anima del governo, o meglio sulla sua mancanza, e su cosa fare per trovarla al più presto. Sfortunatamente i giornali sono avari di dettagli sui tentativi fatti sin qui. Avranno provato al mercatino dell’usato, su Amazon, attraverso e-bay? Si saranno rivolti a un consigliere spirituale?
Avranno discusso, prima di cominciare, della sua esatta natura e ubicazione, se cioè l’anima sia propriamente un soffio vitale, e la si debba dunque collocare nei polmoni, grosso modo sotto lo sterno, o una semplice proiezione dell’io, e vada dunque cercata nella mente? E se avesse invece una natura molteplice, come sosteneva Platone? In tal caso, preliminarmente, bisognerebbe capire quale anima di preciso manchi al governo, non foss’altro per sapere dove andarla a cercare: l’anima concupiscibile, che a scuola c’insegnavano trovarsi nei visceri? Certo non si direbbe che all’esecutivo manchi l’anima irascibile, collocata nel cuore. Forse l’anima razionale, che dovrebbe avere sede nel cervello?
Non si dica che qui approfittiamo di un semplice modo di dire per fare della filosofia a buon mercato (non vorrei finire come il personaggio con cui si apre il romanzo di Giacomo Papi, Il censimento dei radical chic, ammazzato a bastonate perché aveva citato Spinoza in un talk show). Il fatto è che si tratta di un modo di dire molto indicativo, che spiega praticamente tutto. E non c’è bisogno di essere dei convinti esistenzialisti, o di avere studiato Heidegger, Kierkegaard e Jean-Paul Sartre (quello secondo il quale «l’existence précède l’essence»), per capire che è quello che facciamo ogni giorno a qualificare la nostra essenza, anima, spirito o comunque lo si voglia chiamare. E non viceversa.
Volete un esempio? Giusto ieri, intervistato dal Corriere della sera, Luigi Di Maio ha ribadito per l’ennesima volta che lo ius soli «è un tema che non è mai entrato nel programma di governo, né entrerà ora». Ma l’unica vera minaccia che arriva dal Nazareno, e che l’intervistatore giustamente riporta, riguarda il voto in Emilia: se il Movimento 5 stelle va da solo e il centrosinistra perde, il governo rischia di cadere. Chiaro? Non: se non si fa lo ius soli, o non si cancellano i decreti sicurezza, o non si rivedono reddito di cittadinanza, quota cento e tutti gli altri provvedimenti del governo gialloverde che il Pd ha finora trangugiato come fossero deliziosi manicaretti.
No no, l’unica cosa che il Pd chiede davvero, in cambio di tutto questo, sono accordi elettorali: ieri in Umbria, oggi in Emilia e domani in Italia. L’anima di questo governo, o di questo “nuovo centrosinistra” come qualcuno già lo chiama, è tutta lì: non vogliamo perdere le elezioni. Tutto il resto, ogni altra scelta, problema o provvedimento – cioè esattamente l’insieme di motivi per cui le persone alle elezioni dovrebbero votarli – è evidentemente fungibile, sostituibile, intercambiabile. Ed è proprio per questo che perderanno (se continuano così). Forse non in Emilia, ma di sicuro in Italia. Perché hanno già smesso di combattere.
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