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Non ci si raccapezza più. Nella politica italiana, cerchi un’idea di paese, un barlume di progetto generale, e trovi singoli temi sparsi, anche importanti ma nell’insieme settoriali . È la ricerca spasmodica di qualche sacca di consenso non consumata, con uno sbriciolamento degli interessi che nega l’idea stessa di politica, la cura dell’interesse collettivo. Ci si butta, per pigrizia intellettuale e politica, su singole istanze, intuite o perfino inventate, costruendone i bisogni sottostanti. Così si frantuma la coesione nazionale. C’è il leader fissato con la intangibilità della comunità nazionale: lo immagineresti dedito, nello stesso contesto e se l’interesse è davvero generale, ad un robusto progetto demografico. Macchè. Chi vede, giustamente, nella diffusione di mille droghe uno sterminio di vite e di coscienze, non lo collega, per combatterlo, ad un fenomeno spaventoso come l’infiltrazione delle forme diffuse criminalità organizzate sull’intero territorio nazionale. Troppa fatica, troppa difficoltà. Uno slogan, e via. Si vaga di tema in tema: oggi la prescrizione, in una zuffa poco decorosa tra alleati formali e nemici mortali. Un giorno le banche sono il nemico; un altro si tagliuzza un frammento di Costituzione, il numero dei parlamentari; o qualche diritto sacrosanto, con lo scalpo dei redditi finali di vecchi rappresentanti di vecchi elettori.
Se la politica, la cura della polis, è ridotta così, rallegriamoci se gli elettori sono attratti dai simboli unificanti. Caduti quelli in gestione ai partiti (a partire, ahimè, dalle Camere, vittime di una espropriazione selvaggia da parte della politica), si rinsaldano quelli dove non ci si azzanna, e si dà l’idea di un servizio all’intera collettività. Lì, per fortuna e per ora, la faziosità non penetra.
Mai come oggi il capo dello Stato incarna l’unità degli italiani. Da venticinque anni i partiti nascono all’insegna di interessi particolari, sminuzzati; da venticinque anni gli italiani colgono l’importanza dell’unità nazionale, anche attraverso uomini un tempo di parte. Dei quattro presidenti dell’era chiamata “seconda Repubblica”, tutti reduci della prima, quello tutt’ora in campo inizia ora il penultimo anno di mandato. In realtà, praticamente l’ultimo nel quale il potere presidenziale più forte, quello di scioglimento delle camere, è operante. Non è un caso che l’appuntamento più temuto ed atteso – a seconda dei punti di vista -, dei prossimi anni sia l’elezione del successore di Mattarella.
Di quello che succederà dopo, ovviamente Mattarella non porterà responsabilità, né giuridica né fattuale. La difesa concreta della nostra Costituzione, del parlamento, della separazione dei poteri come elemento portante di una democrazia, risentirà, però, si gioverà anche dei messaggi e della lezione istituzionale che dal Quirinale perverrà nei prossimi mesi. Che non dovranno essere letti con la disinvoltura e la superficialità di chi in questi giorni gli ha attribuito il monito che non ci saranno altre maggioranze in questa legislatura. Una previsione politica, probabile e diffusa: che, virgolettata e attribuita al presidente in persona, e quindi resa costituzionale e non politica, suona contraddittoria con il suo costante insegnamento.
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● Per far crescere la democrazia seminare nel campo dell’istruzione
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