Domenica 3 marzo, ad un anno dalle elezioni generali, il partito democratico tenta con l’elezione diretta del proprio segretario, l’uscita da un lungo letargo. Infinito, se si pensa alle novità politiche e istituzionali intervenute in questo periodo. L’obiettivo istituzionale delle primarie, al di là della scelta del segretario, è quello di riattivare la funzione costituzionale dell’opposizione: funzione necessaria e complementare a quella di governo, nel frattempo dilagata praticamente senza controlli. Ed è proprio la funzione parlamentare di controllo sull’attività del governo, prerogativa dell’opposizione, quella che è mancata in questi nove mesi di un governo sperimentale, inopinato ed inopinabile fino ed oltre la data del voto. Sotto questo punto di vista, che le primarie in casa pd ripristinino finalmente questa relazione fisiologica tra maggioranza e opposizione è nell’interesse collettivo, non dei soli elettori delle primarie. Paradossalmente, e in modo peculiare, dello stesso governo, nella parte in cui sia animato da una reale volontà di buon governo in luogo della snervante ricerca di consenso fin qui esibita.
Fino ad oggi, in questi interminabili dodici mesi, intorno al partito democratico abbiamo visto scatenarsi l’attenzione morbosa della satira politica e la derisione impietosa degli avversari, unita all’attribuzione di tutte le colpe del passato. Attitudine e pratica, quest’ultima, residuo di una mentalità meramente oppositoria, e quindi di immaturità governativa. E abbiamo visto svilupparsi la delusione angosciata ed incredula degli elettori del centrosinistra; assai meno la preoccupazione per le possibili, gravi conseguenze sui delicati meccanismi del sistema istituzionale. Ed è proprio la paura di queste conseguenze -unita al rischio di declino della moralità politica di un potere privo di controlli ed allergico al rispetto delle funzioni costituzionali concorrenti – il principale motivo di un generale interesse verso una larga partecipazione al rito delle primarie, e verso la ripresa di una forte azione politica del partito democratico, per tradizione partito di governo. La moralità politica è uno degli addendi fondamentali del concetto complesso dell’”onestà”, promessa incauta, generica ed asfissiante per tutta la passata legislatura di una forza politica di opposizione quale il movimento Cinquestelle: in quanto tale, quindi, lontana dai rischi di corruzione per assenza di tentazioni. Le prime crepe in quella promessa si vedono già nitidamente, dopo poche settimane o mesi di governo: l’onestà, la moralità, il rigore sono concetti per i quali sono inattendibili l’autoattribuzione, l’autocertificazione.
Proviamo ad aggiungere al dibattito che si sta animando proprio in queste ore alcune considerazioni di carattere istituzionale. La prima concede un’attenuante all’anemia del partito democratico in questi mesi: se è vero che un’ opposizione corretta e non demagogica si può sviluppare solo nelle Camere, lo svuotamento insensibile delle funzioni parlamentari mostra che anche un partito energico e motivato si sarebbe trovato con poche armi nell’attività di opposizione. Un’attenuante, non di più. Nell’esame della legge di bilancio, ad esempio, una concreta funzione di opposizione (vale a dire di segnalazione all’opinione pubblica degli errori e dei rischi) è stata brutalmente resa impossibile dall’assenza di un dibattito parlamentare sul tema. E così in tanti altri, continui casi di insofferenza per qualsiasi ruolo da riservarsi a poteri che non siano quelli di governo.
La seconda considerazione suggerisce di sostituire, da parte di chi vota alle imminenti elezioni primarie, all’animosità di una scelta tra persone, un criterio squisitamente istituzionale, quello della forma partito che si vuole per il partito democratico, partito con lunghe radici che scavano nelle forme costituzionali dell’associazione partitica collegiale dell’art. 49 Cost. e dell’autonomia dei parlamentari (art.67.Cost.) Di queste radici è portatore Nicola Zingaretti. All’opposto, figlia della seconda repubblica dei partiti personali e gerarchizzati, di invenzione berlusconiana, è la concezione di partito di Matteo Renzi, figura immanente in questa consultazione, praticamente un convitato di pietra. Questa, a nostro avviso, più delle stesse caratteristiche dei candidati, la vera posta in palio per il partito democratico, questa la scelta da farsi. Tra la forma di partito comunità, interpretata in questo frangente da Nicola Zingaretti; e quella del partito democratico di Matteo Renzi, si collocano, con diverse gradazioni, i due concorrenti intermedi, Roberto Giachetti e Maurizio Martina. Questa biforcazione tra due forme associative non compatibili, è già costata una dolorosa scissione a quel partito. Ripensarla ora, concentrarsi su di essa, in questo voto, potrà almeno evitare o ridurre questo rischio per il futuro.
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