Non mi perdo mai le assidue interviste di Annalisa Chirico a Matteo Salvini sul Foglio e ogni volta mi compiaccio del leader civile, garantista, europeista e atlantico che la giornalista riesce a restituire al lettore.
Una volta puoi anche cascarci e sperare in un futuro radioso, ma già la seconda è una presa in giro. Salvini non è civile né garantista né europeista né atlantico. Non si conoscono leader civili, garantisti, europeisti e atlantici che hanno come eroi politici Le Pen, Putin, Orban e Trump.
Non esistono leader atlantici che firmano patti politici con il Partito di Putin, che si fanno selfie sulla Piazza Rossa, che sposano la politica imperialista russa, che si battono per la fine delle sanzioni, che familiarizzano con l’internazionale del caos creata dal Cremlino e che sguinzagliano faccendieri tra cene ufficiali e il Metropol (ok, Trump a parte: ma quello infatti rischia l’impeachment).
In natura non nascono europeisti che approvano mozioni congressuali, come quella del 2017 a prima firma Giancarlo Giorgetti, che impongono come linea del partito l’uscita dall’euro e la fine dell’Unione europea, che organizzano i no-euro day e i convegni oltre l’euro e che si fanno rappresentare nelle commissioni Bilancio e Finanze del Parlamento da due presidenti caricaturalmente anti euro come Bagnai e Borghi, i quali poi sui loro social ridicolizzano chi segnala l’ennesima intervista di Chirico a un Salvini dipinto come un funzionario della Bce: è tutta scena per gli allocchi, spiegano ogni volta quei due, i quali infatti non vengono rimossi dai loro ruoli di responsabili economici e presidenti di commissione.
Non si hanno notizie, inoltre, di garantisti che decretano lo stato criminale di persone che non sono nemmeno arrivate in Italia e che le lascerebbero affogare in mare se solo si avvicinassero. Non se ne hanno nemmeno di cultori dello stato di diritto che orchestrano gogne per chi è sospettato di aver commesso un reato contro un cittadino di pelle bianca o che candidano gentiluomini che sparano per rappresaglia sui neri come nell’Alabama degli anni Cinquanta.
L’idea che Salvini possa essere un leader di una destra tosta ma costituzionale è una bufala che si ripete da alcuni anni. In campagna elettorale si diceva che una volta al governo avrebbe messo la testa a posto, ma non è successo. Fior di liberisti giuravano che avrebbe fatto le riforme di mercato, ma ha fatto quota 100 e il reddito di cittadinanza, oltre a farci pagare lo spread. Sui Liberali per Salvini, copyright Guido Vitiello, stendiamo un velo pietoso.
Poi è circolata la tesi controintuitiva secondo cui Salvini al Viminale e al Papeete ripeteva slogan duceschi e si comportava da sergente di ferro ma in realtà era soltanto un raffinato stratagemma per vincere alla grande le elezioni successive, quelle in cui avrebbe ottenuto i pieni poteri, in modo da poter governare senza i Cinque stelle e finalmente comportarsi da leader conservatore tradizionale. Come no. È la stessa fantasia che negli Stati Uniti ha illuso alcuni gonzi repubblicani a lavorare per Trump, salvo poi scappare a gambe levate, anche per evitare di finire in galera.
La nuova stravagante narrazione è quella di un Salvini 2.0, moderno e moderato, pronto a rilanciare il centrodestra liberale e a guidare il paese sui tradizionali binari europei e atlantici. Un tempo, quando da ragazzini ci si divertiva senza Fortnite, c’era sempre qualche buontempone che indicava il cielo con un dito e diceva «guarda, c’è un asino che vola» per poi prendere in giro il credulone che si girava a guardare. Salvini non vola.
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