Matteo Salvini festeggia il suo quasi 40% che gli assegnano gli ultimi sondaggi, seduto sul suo trono imbottito di disperati e leccandosi i baffi per un centrodestra a cui ha lasciato solo le briciole (Berlusconi e compagnia piombano al 6% peggiore di sempre) e che vede al massimo nel ruolo di comprimari i Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni spinti dal sovranismo che spira. Eppure dentro quel 40% c’è tutta l’aria di un sottovuoto spinto che forse merita di essere analizzato, prima di lasciarsi trascinare dai bagordi dei vittoriosi poiché ne abbiamo visti di Matteo cadere precipitevolissimevolmente da percentuali altissime che non avevano fondamenta.
La destra che è, innanzitutto, e cosa è diventata: siamo passati dal Movimento Sociale che assolveva un ruolo anche culturale e pedagogico (con intellettuali di una certa risma) al postmodernismo di Silvio Berlusconi e la sua Forza Italia che ha importato il partito-azienda e il mito del successo e dell’arricchimento per (quasi tutti) con un notevole abbassamento dello spessore politico, della capacità di costruire relazioni nazionali e internazionali e della profondità culturale del progetto. La Lega di Salvini è lo Zenit della rinuncia alla complessità, giocando solo sul solletico via slogan delle pance e degli intestini, un partito ipermoderno a dimensione dei social in cui abita e in cui macina propaganda, un partito con un messaggio politico non più lungo di qualche riga e a scadenza breve, pronto ad essere smentito anche il giorno successivo. Non c’è un pensiero forte di fondo (nemmeno il Nord originario) se non il continuo gioco di sponda con i nemici inventati quotidianamente. Con i nemici immaginari si possono guadagnare voti ma non si governa.
I rapporti interni, difficili se non addirittura inesistenti. Salvini sa bene (e lo sanno bene gli osservatori politici) di non essere riuscito a conquistare nessun pezzo dello Stato di quelli che garantiscono lunga vita: pessimi i rapporti con gli altri ministri (in primis Trenta e Tria) e soprattuto pessimi i rapporti con i dirigenti e i funzionari dei ministeri; pessimi i rapporti con il Presidente della Repubblica; pessimi i rapporti con la magistratura; pessimi i rapporti con gli alleati di governo; perfino in Polizia ha un sindacato maggioritario contro e in tutto questo anche il suo nord (quello che è interessato all’autonomia e all’abbassamento della pressione fiscale) comincia a dare seri segnali di insofferenza. Salvini è un uomo fondamentalmente solo, rinchiuso nel suo ego ipertrofico e non sarà un caso che l’unico mediatore di spessore che ha al suo fianco, Giancarlo Giorgetti, sia dato in partenza per l’Europa per non fare ombra al capitano. Contento lui…
I rapporti esteri. L’Europa brutta e sporca e cattiva ha dimostrato magnanimità nei confronti del governo italiano rinunciando alla proceduta d’infrazione ma per Salvini rimane uno scoglio. Non è un caso che proprio ieri abbia dichiarato di voler rivedere il trattato di Dublino da solo (ma come? Ma davvero?) e abbia perso rovinosamente su tutta la partita delle nomine. Salvini può contare sulla simpatia esibita di qualche sovranista straniero ma ha dovuto capire presto che i sovranisti (come dice la parola stessa) pensano a se stessi e sono intrinsecamente incapaci (o non interessati) a costruire un asse con chicchessia. Anche la politica internazionale non si fa con le foto sorridenti condivise su twitter e richiede capacità di dialogo e di mediazione. E Salvini su questo non eccelle, no.
Lo spoil system mancato. La Lega di Salvini (anche per la veloce esplosione in termini di consensi) ha poco da offrire in termini di relazioni e di uomini di riferimento per occupare i posti che contano. Un esempio illuminante è la Rai dove il capitano, oltre ad ottenere una trasmissione per la sua ex fidanzata e per qualche vecchio amico ripescato nelle piccole emittenti locali, è riuscito ad ottenere solo qualche posticino in qualche inutile trasmissione estiva. Nulla che davvero interessi dal punto di vista della cultura politica e che faccia veramente opinione. La svolta salviniana nell’azienda televisiva di Stato è più figlia di un’autocensura e del servilismo dei suoi dipendenti piuttosto che di un’azione ragionata e programmata. Del resto lo spessore culturale all’interno del partito è quello di una sagra di paese (pezzo forte appunto dei leghisti) piuttosto che di una matrice di pensiero. E le bisbocce con le Ong e con i migranti non potranno durare per sempre: arriverà prima o poi sia la noia di chi aspetta riforme vere che incidano sull’economia e sul lavoro e dall’altra parte arriverà qualcuno che sottolineerà il fallimento del suo slogan sui porti chiusi rivendendosi come più autoritario e autorevole di Salvini.
È un guscio senza polpa il culto del capitano Salvini e non ci metterà troppo a sgonfiarsi. Come ogni altro culto. Come quelli che ora stanno desolatamente a fare i senatori semplici o camminano con imbarazzo tra i banchi del Parlamento Europeo. Rimane da vedere quote macerie ci saranno poi in giro.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/07/08/lega-40-per-cento-sondaggi-salvini/42793/