Sarebbe opportuno, a mio parere, che non si corrano rischi inserendo preventivamente nel testo un articolo che contenga le definizioni di “orientamento sessuale” e “identità di genere” da intendersi ai fini della legge penale».
Definizioni, ad esempio, presenti negli altri due consimili pdl che, sulla materia, sono stati presentati, a inizio legislatura, dai deputati Ivan Scalfarotto (che però è attualmente componente del Governo in qualità di sottosegretario agli Affari Esteri) e Laura Boldrini. Cosa che ovviamente porterà, come previsto dall’iter legis, alla stesura di un testo unificato a partire da quello base di Alessandro Zan.
Dell’elemento definitorio si era già preoccupato d’altra parte Franco Grillini, presidente di Gaynet e figura storica del movimento Lgbti italiano. Grillini, già deputato tra le file dei Ds nella XIV° (30 maggio 2001 – 27 aprile 2006) e XV° legislatura (28 aprile 2006 – 28 aprile 2008), è stato il primo parlamentare ad aver presentato, il 15 maggio 2002, un progetto di legge sulle «norme contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere».
Ora se in questo testo, mai però calendarizzato, è assente la definizione delle due espressioni, essa invece costituisce il 1° articolo del secondo progetto di legge, che, presentato l’11 maggio 2006 e composto di ben 29 articoli, fu approvato in Commissione Giustizia poco prima del termine della XV° legislatura. Progetto di legge, quest’ultimo, che fu preparato proprio dal citato Rotelli, all’epoca consulente giuridico di Grillini, ed è poi servito di base al testo della senatrice pentastellata Alessandra Maiorino, presentato nel corso della vigente legislatura al pari di quello dell’omologa dem Monica Cirinnà.
È lo stesso Grillini a raccontare quanto accaduto all’epoca: «Alla Camera fu possibile calendarizzare la proposta di legge contro l’omofobia, di cui ero primo firmatario, che noi chiamammo “contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere”, perché erano due concetti già tipizzati dalla giurisprudenza internazionale. In particolare dalla direttiva europea contro le discriminazioni sui luoghi di lavoro, recepita anche da noi. Si chiedeva l’estensione della legge Mancino e anche un intervento di tipo culturale, perché, come si sa, le norme non bastano: bisogna cambiare la mentalità, fortemente impregnata di omotransfobia, soprattutto con interventi specifici nelle scuole. Riuscimmo a far passare quel testo, grazie alla compattezza del centrosinistra, in Commissione Giustizia. Esso purtroppo sarebbe dovuto arrivare in aula proprio nel giorno in cui Prodi rassegnò le sue dimissioni nelle mani del presidente Napolitano».
Dopo l’esperienza Grillini i successivi tentativi non ebbero sorte migliore anche per una perduta compattezza del centrosinistra nel merito e, soprattutto, per le forti resistenze, diversamente concretatesi, di parlamentari di estrazione cattolica, sensibili agli altolà di Cei e Vaticano durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
A iniziare dal testo base, che presentato dalla deputata Anna Paola Concia (all’epoca nei Ds) e adottato dalla Commissione Giustizia il 2 ottobre 2009, fu affossato alla Camera il 13 ottobre dalla maggioranza di governo, che votò la pregiudiziale di incostituzionalità sollevata dall’Udc. La deputata ci riprovò, nel maggio 2011, con un pdl modificato (alla cui stesura aveva contribuito anche l’allora ministra delle Pari Opportunità Mara Carfagna). Ma, il 26 luglio, la Camera accolse ancora, una volta, le pregiudiziali di incostituzionalità, sollevate da Udc, Pdl e Lega.
Il 15 maggio 2013 viene presentato il progetto di legge, che, preparato da Rete Lenford, vede Ivan Scalfarotto primo firmatario. Dopo accesso dibattito viene approvato dalla Camera il 19 settembre col contestatissimo sub-emendamento Gitti (Scelta Civica) all’emendamento Verini (Pd), che dalle associazioni Lgbti viene bollato quale “norma salvavescovi”. Trasmesso al Senato, si è là arenato ed è poi decaduto col termine della XVII° legislatura.
www.linkiesta.it