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La maggioranza ha verificato di essere venuta meno

La verifica di governo solennemente aperta il 30 gennaio era stata bruscamente interrotta dopo poche ore per annunciare in conferenza stampa i primi due casi di cittadini (cinesi) contagiati da coronavirus nel nostro Paese. Ieri sera, mentre le agenzie battevano la notizia del primo caso di italiano contagiato, l’ennesimo vertice di maggioranza a Palazzo Chigi verificava ancora una volta l’impossibilità dell’accordo, in particolare sulla prescrizione, dopo il rifiuto di Italia Viva di accettare l’ultima mediazione, fondata sulla distinzione tra assolti e condannati nei primi due gradi di giudizio (con qualche complicazione ulteriore in cui è superfluo addentrarsi, considerato che verosimilmente non entrerà mai in vigore), già alla base della prima ipotesi di mediazione avanzata da Giuseppe Conte. Proposta ribatezzata dunque dai giornali «Conte bis», o anche «Conte-Leu», in quanto elaborata da un omonimo del presidente del Consiglio, Federico Conte, appartenente a Liberi e Uguali: prodotto, con ogni evidenza, della crescente osmosi tra i progressisti e il loro fortissimo punto di riferimento (la mediazione, s’intende, ma forse anche il mediatore, di cui fino a ieri non si era mai sentito parlare).

Allo stato dei fatti, e a giudicare dalle bellicose dichiarazioni dei protagonisti (Pd-M5s-Leu da un lato, Italia Viva dall’altro), si direbbe dunque che la verifica di maggioranza abbia alfine verificato che la maggioranza non c’è più; ma il rinvio al Consiglio dei ministri di lunedì, e i numerosi precedenti delle ultime due settimane, non consentono di escludere che sottotraccia, come la vecchia talpa, la verifica continui a scavare.

Una cosa però è sicura: invocata per mesi come il terreno del chiarimento decisivo, in questi giorni la famosa verifica ha deciso pochino e chiarito ancora meno. Forse perché i suoi stessi promotori ne hanno sottovalutato gli effetti destabilizzanti, come mostra anche il surreale dibattito che l’ha accompagnata.
Breve riassunto delle ipotesi di accordo di cui si è discusso finora: ritirare la concessione ai Benetton, ma solo in Liguria; cancellare la prescrizione, ma solo per i reati di corruzione, oppure solo per chi in primo grado è stato condannato (e per chi in primo grado fosse stato assolto da un’accusa di corruzione? Chissà); modificare i decreti Salvini limitandosi a recepire i rilievi del Quirinale sul decreto sicurezza bis – cosa che verosimilmente avrebbe fatto anche Matteo Salvini, trattandosi di rilievi di costituzionalità, se non altro per evitare il rischio di vederselo bocciare dalla Consulta – lasciando quindi intonso il primo decreto sicurezza (quello, per capirci, che ha cancellato la protezione umanitaria e smantellato il sistema di accoglienza); modificare entrambi i decreti sicurezza, senza abrogarne nessuno; abrogarli entrambi, ma per riscriverli diversamente. O qualsiasi altra possibile combinazione delle opzioni sopra citate. Ad esempio: abrogarne uno e modificarne un altro; o magari modificarli prima e poi abrogarli lo stesso, così, a sfregio (o fare semplicemente quello che si è fatto finora, su tutto, dagli accordi con i torturatori libici a quelli con i navigator: dichiarare di volerli cambiare per tener buoni i critici, non fare assolutamente niente, lasciarli rinnovare tali e quali, per poi ricominciare a promettere di cambiarli).

Del resto, giusto ieri Nicola Zingaretti ha detto a Radio Capital che l’esecutivo deve promuovere dei «veri decreti sicurezza», ma solo dopo avere ottenuto la cancellazione di «quei decreti totalmente folli» (quelli che fino a ieri voleva modificare, ma non abrogare), e che tutto questo il governo «deve farlo in fretta». Anzi, aggiungeva, «non capisco perché ancora, a questo punto, a febbraio, questo non sia avvenuto».

E se non lo capisce lui, figuriamoci noi.

https://www.linkiesta.it/it/article/2020/02/07/verifica-governo/45355/

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