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L’Italia nella morsa della pandemia è un garbuglio di dolore per i morti , di disagi dei vivi, di sentimenti, di paura, un’altalena di fiducia e di sfiducia, bilanci, giudizi. Di angoscia. Un garbuglio che rivela impietosamente la perdita da parte della politica della sua vera funzione, trovare, o almeno cercare, una soluzione nella sintesi dei problemi e delle posizioni. La politica è, ormai a livello generale, una funzione monodimensionale. Non solo in Italia, in tutte o quasi le democrazie. Solo le dittature non hanno questo problema , non devono rendere conto.
Formare la classe dirigente del Paese
Davanti ad una tragedia di queste dimensioni , quasi un segnale di un nuovo millennio, un obiettivo dovrebbe accomunare tutti, da chi ha responsabilità a chi si trova nelle mani di chi ha responsabilità: la necessità di affrontare l’imprevedibilità di ogni nuovo giorno con la volontà di formare la vastissima classe dirigente del paese, classe nella qualità, nella professionalità, nella personalità , nell’autonomia della politica, nell’assenza di complicità con la politica stessa, la lealtà in luogo della fedeltà.
La mancanza di autocritica
Capita l’occasione per lanciare almeno un segnale, con il governo che si trova davanti allo scadere di una quantità di nomine importanti per l’economia nazionale, e non solo. Non un barlume di autocritica, invece, che coinvolga anche i precedenti i governi, rispetto al modo con il quale fino ad oggi, nei decenni , questa classe dirigente è venuta componendosi ad opera di schiere di governi, di ministri ; persino ad opera delle Camere, ormai indistinguibili, inglobate dai governi, quando si tratti di eleggere importanti figure istituzionali. Nomine impossibili, quando il numero dei nominandi o degli eligendi non sia divisibile per il numero degli appetiti.
La spartizione nei cda
Oggi, a fronte di qualche centinaio (pare) di dirigenti da sostituire o confermare, la risposta dei partiti di governo sembra essere la divisione perfetta tra i due partiti maggiori, per funzione. Gli amministratori delegati ad uno, i presidenti all’altro. Tolto il dolore enorme di venticinquemila scomparsi, questa è la più grande sconfitta della politica: l’incapacità di rigenerarsi. I morti in bare anonime, i posti da ricoprire nell’organigramma non meritevoli essi stessi di un nome, di un curriculum, di una motivazione. La sigla di un partito, accanto ad una incarico. Autocandidature? Per carità. Nessun ripensamento, nessuna resipiscenza, nemmeno un messaggio per il futuro. E nessuna distinzione tra il governo e l’opposizione, basta risalire di un anno. Gli amministratori delegati di quegli enti al partito democratico, i presidenti al movimento cinque stelle, lo ripetiamo.
L’influenza della politica nelle nomine
La superficie delle nomine della politica è immensa: oltre a quelle direttamente spettanti, quelle pubbliche, l’influenza politica lambisce ogni altro tipo di nomina, dalle università alla sanità. Nelle autorità indipendenti, zone franche dalla lottizzazione per definizione e per legge, persone di incontestata dipendenza ricoprono spesso incarichi per i quali nelle leggi istitutive la stessa politica richiede il requisito primario dell’indipendenza, notoria a volte. Quando si dice la politica, in queste vicende, si intende la politica tutta; le distanze violente, quotidiane, non si riproducono nei comportamenti. Urleranno le opposizioni, coprendo l’ultima eco delle urla delle precedenti opposizioni. I politici , in queste situazioni, invocano il concetto del “primato della politica”. Concetto nobilissimo , forse un tempo, ora un alibi senza pudore.
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