Ieri Nicola Zingaretti ha deciso di fare finalmente chiarezza sulla strategia del Partito democratico. Nella sua lunga e articolata lettera a Repubblica, il segretario del Pd fissa dunque alcune questioni politiche non più eludibili.
Primo, la comunanza della visione comune: «Non si può governare insieme se ci si sente avversari e senza una comunanza sulla visione comune del futuro».
Secondo, il pericolo rappresentato da alcuni punti di riferimento impazziti (fortunatamente assenti): «Il Paese non vive solo una difficoltà economica e sociale, ma un vero sfilacciamento di legami antichi e un’assenza di punti di riferimento che gettano le persone nella solitudine».
Terzo, il cammino comune che deve cambiare passo prima di iniziare, immediatamente, e con urgenza: «Il cammino comune per essere all’altezza è ancora lungo, per iniziarlo occorre immediatamente, e con urgenza, cambiare passo».
Parole di cui si sentiva da tempo il bisogno, che nelle ultime righe cedono tuttavia il posto a un’ultima ambiguità (tralascio minuzie stilistiche, come le crisi aziendali che «continuano a esplodere» ma «dovrebbero molto di più influenzare l’agenda», o concetti sfuggenti come l’«attenzione etica» nel costruire invece che nel distruggere, perché è la sostanza che qui ci interessa). L’ultima ambiguità, però, riguarda proprio le due questioni decisive ancora aperte: il giudizio complessivo sul governo e la concreta possibilità di una coalizione Pd-M5s alle prossime elezioni. Questioni su cui Zingaretti si esprime con una curiosa forma di condizionale ricorsivo, una sorta di matrioska degli auspici: «Auspichiamo di poterlo fare dentro una alleanza larga che sarà vincente solo se [1] capace di dimostrare di essere utile all’Italia, a sostegno di un governo che ha un senso solo a condizione [2] che interpreti questo sentimento positivo e di riscatto che sta crescendo nel Paese».
Non è facile calcolare esattamente la probabilità che questo governo abbia effettivamente un senso, ipotesi evidentemente azzardata per lo stesso autore della lettera, che non a caso la subordina a quello che in logica si chiamerebbe forse un doppio bicondizionale, e in linguistica, verosimilmente, un periodo ipotetico del sesto tipo.
Motivo di più per attendere con ansia la risposta di Luigi Di Maio.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/12/06/zingaretti-lettera-repubblica/44647/