“Sono intervenuti fatti nuovi di cui dobbiamo tenere conto”. Così Giuseppe Conte, con una lunga diretta Facebook ha detto sì alla Tav, chiudendo nel modo più prevedibile possibile lo stucchevole balletto tra Lega e Cinque Stelle, i primi da sempre favorevoli all’opera, i secondi da sempre contrari. Come d’uso nel governo gialloverde, anche questa decisione assume toni farseschi, visto che arriva nei giorni successivi alla defenestrazione di Pierluigi Coppola, l’unico esperto del ministero dei trasporti favorevole all’opera, e che a disconoscerla, in contemporanea, sia il leader dei Cinque Stelle Luigi Di Maio, capo politico dello stesso Conte, se non ci ricordiamo male, che chiede un voto in Parlamento utile solo a marcare la contrarietà dei Cinque Stelle all’opera, e a salvare la faccia con la furia dei Comitati No Tav.
Eppure lo sapevano anche i muri che sarebbe finita così. Che si sarebbe procastinata la decisione in un momento privo di scadenze elettorali, dopo le europee e le regionali in Piemonte. Non fosse altro per il fatto che è sempre andata così, da quando i Cinque Stelle sono al governo. Ricordate l’Ilva, vero? Era cominciata con Di Maio che voleva riaprire l’accordo tra Arcelor Mittal e il ministero dello sviluppo economico, a dire del ministro troppo vantaggioso per il colosso lussemburghese. È finita con 1400 operai in cassa integrazione, nonostante gli accordi, e il ministero inerme, capace soltanto di prenderne atto.
E il Tap, il gasdotto transadriatico? Doveva essere madre di tutte le battaglie per salvare la spiaggia di San Foca e qualche decina di ulivi, contro il partito degli idrocarburi, delle trivelle e dei servi degli interessi amerikani. È finita dopo la prima visita di Conte a Trump: il gasdotto si deve fare e tanti saluti ai manifestanti. Non pare che su Rousseau si sia votato per decidere la bontà di questa decisione, ma forse ci siamo distratti noi.
La stessa sorte sta toccando alla proposta Daga sull’acqua pubblica, altra stella cadente dei Cinque Stelle, che sta morendo per l’opposizione della Lega – delle 250 proposte di modifiche in commissione alla Camera, molte, le più pesanti, sono proprio quelle dell’alleato di governo – e che, non dubitiamo, sarà la prossima trincea a cadere, sacrificata sull’altare della legge di bilancio, o di una mediazione sull’autonomia leghista, o banalmente alla prossima minaccia di crisi di Matteo Salvini.
Altro giro, altra debacle. Per non parlare, ovviamente, dello psicodramma con Autostrade e il Gruppo Atlantia. Cui per mesi si è minacciato di togliere la concessione sulla tratta Genova – Ventimiglia dopo il crollo del ponte Morandi e che alla fine è stata fatta partecipare con tutti gli onori e i salamelecchi del caso nel salvataggio di Atalia, di cui il gruppo dei Benetton è attore determinante. Da furfanti a salvatori della patria in meno di un giorno. Se non è record mondiale, poco ci manca.
Per chi ci credeva, nei Cinque Stelle, il quadro è desolante: non c’è una singola battaglia identitaria in cui Di Maio e soci sono riusciti ad averla vinta contro l’alleato leghista. Naturale e fisiologico, se si pensa alla squadra di dilettanti che il Movimento ha portato al governo, del tutto impreparata a reggere la forza d’urto di un alleato che bazzica i palazzi del potere da un ventennio abbondante.
Incredibile, invece, se pensiamo che il Movimento ha in mano un terzo del Parlamento, la presidenza del consiglio dei ministri e tutti dicasteri chiave per combattere e vincere ognuna delle battaglie in questione, dallo sviluppo economico all’ambiente, dai trasporti alla salute (do you remember, no vax?). Altro che mandato zero. Qui siamo proprio alla legislatura zero. Zero tituli.
https://www.linkiesta.it/it/article/2019/07/24/tav-dimaio-conte-salvini-m5s/42974/