In attesa di capire che cosa abbia verificato la famosa verifica di governo aperta solennemente giovedì scorso – e che nessuno, ufficialmente, si è mai preso la briga di chiudere – comincia a farsi strada in molti il sospetto che anche questo fondamentale chiarimento politico si risolva come tutti i precedenti, e cioè con il rinvio di ogni decisione a dopo le regionali (le campagne elettorali, in Italia, sono un po’ come le ciliegie: una tira l’altra).
La ragione, par di capire, è sempre la stessa. E cioè l’indefesso corteggiamento del Movimento 5 stelle da parte del Pd, che si comporta ormai come quei fidanzati decisi a non mollare neanche di fronte all’evidenza, disposti ad annullare la propria personalità fino a diventare praticamente invisibili, a farsi piccoli piccoli, pur di condividere un’ultima scampagnata elettorale, anche solo regionale, comunale persino, fosse pure soltanto a Isernia.
In altre parole, l’intera politica italiana è appesa agli sbalzi d’umore di un movimento a dir poco imprevedibile. Il Partito democratico, in particolare, da almeno un paio d’anni non fa che scrutare, analizzare ed esaltare le mosse dell’uno o dell’altro aspirante capocorrente grillino, passando dall’infatuazione per Roberto Fico a quella per Lorenzo Fioramonti, senza dimenticare ovviamente quel «punto di riferimento fortissimo per tutte le forze progressiste», a giudizio di Nicola Zingaretti, che risponde al nome di Giuseppe Conte.
In mancanza di notizie più precise del nuovo partito di Fioramonti, e anche del governo Conte, vale dunque la pena di soffermarsi un minuto sulla leadership di Fico, perno fondamentale di tutte le strategie politiche, le analisi e i retroscena giornalistici degli ultimi anni.
Vale la pena, perché giusto dai giornali di ieri si è appreso che il presidente della Camera domenica ha partecipato, con un piccolo gruppo di parlamentari della sua corrente, all’importante assemblea di attivisti che proprio nella sua Napoli doveva discutere di cosa fare alle prossime regionali: allearsi con il Pd, come vorrebbero i fichisti, o andare da soli. Deciso a non lasciarsi ingessare dall’alta carica che ricopre, Fico è intervenuto personalmente per perorare la causa, e ha perso, non proprio di un soffio. Il No all’accordo col Pd ha raccolto infatti il 90 per cento dei consensi. Essendo i presenti 120 in tutto, se ne deduce che in assemblea, a votare in favore della proposta sostenuta da Fico e dai parlamentari fichiani che lo accompagnavano, siano stati soltanto loro: un eletto, un voto. Uno vale uno.
In altre parole, è un po’ come se Ciriaco De Mita avesse perso il congresso nella federazione di Avellino. Ma è evidente che ai Cinquestelle non si possono applicare i tradizionali criteri della politica. Come conferma l’intervista rilasciata domenica da Roberta Lombardi a Repubblica, in cui dichiarava senza esitazioni: «Io, da 5 stelle, sento molto la responsabilità di aver portato la Lega salviniana dal 17 al 34 per cento grazie al lavoro che abbiamo fatto nel precedente governo».
Qualunque cosa intendesse dire di preciso, a proposito del modo in cui il lavoro dei cinquestelle al governo avrebbe fatto raddoppiare i consensi della Lega, difficilmente il Pd potrà sperare di essere altrettanto fortunato.
https://www.linkiesta.it/it/article/2020/02/04/verifica-cinque-stelle-pd-fioramonti-fico-napoli/45307/