Il Pd, partito nato nel 2007 con l’obiettivo di unire l’anima post-comunista e quella cattolica della sinistra italiana, in dodici anni di storia è stato attraversato già da molte scissioni. Sono sei con l’addio di Calenda
di Andrea Gagliardi e Andrea Marini
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Prima le dimissioni dalla direzione del Pd con una lettera a Nicola Zingaretti e Paolo Gentiloni. Poi quelle dal partito al quale si era iscritto pochi mesi fa, prima delle europee (capolista nel nord est e più votato nella circoscrizione con 275mila voti). L’addio di Carlo Calenda al Pd è la cronaca di una decisione annunciata di fronte al governo giallo-rosso in fieri. «Dal primo giorno in cui mi sono iscritto al Pd ho detto che non sarei rimasto se ci fosse stato un accordo con i 5 stelle» ha ricordato Calenda, che ha rilanciato: «Lavorerò per costruire una casa per chi non si sente rappresentato da questo rapporto con i 5 stelle».
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La sesta scissione con Calenda
In attesa di capire le mosse di Matteo Renzi, pronto anche lui a uscire dal Pd in quanto convinto che lo spazio di convivenza si sia notevolmente ristretto, quella di Calenda è la sesta scissione in dodici anni. Il Pd, partito nato nel 2007 con l’obiettivo di unire l’anima post-comunista e quella cattolica della sinistra italiana, in dodici anni di storia è stato attraversato già da molte scissioni.
Il primo addio: Francesco Rutelli
Il primo a lasciare il Pd, due anni dopo la sua fondazione, è stato proprio uno dei suoi padri costituenti, Francesco Rutelli. Già presidente della Margherita e candidato premier dell’Ulivo nel 2001, lasciò il partito dopo l’arrivo alla segreteria Pd di Pier Luigi Bersani a fine 2009. «Non ho nulla contro un partito democratico di sinistra, ma non può essere il mio partito», disse l’ex sindaco di Roma.
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