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L’alleanza permanente con i grillini e la misteriosa scomparsa dell’ala riformista del Partito democratico

A volte bastano poche parole per sprofondare nel ridicolo: Nicola Zingaretti ha detto che Giuseppe Conte, l’ex vice del vicepremier Matteo Salvini diventato a suo dire «il punto di riferimento fortissimo di tutti i progressisti» senza aver cambiato nemmeno uno dei provvedimenti che Zingaretti stesso e i suoi parlamentari definivano «fascisti», «liberticidi» e «vergognosi», ora addirittura «sta guidando l’alleanza dei democratici», sempre con Casalino del Grande Fratello e senza aver cambiato idea sui decreti sicurezza, sulla legge spazzacorrotti, sulla quota cento, sul reddito di cittadinanza, sul professore del Mississippi, sugli ammiccamenti ai cinesi, sul no al Mes, al contrario facendo cambiare opinione proprio a Zingaretti circa duecento giorni dopo la roboante promessa del segretario del Pd di cambiare i decreti sicurezza approvati durante il primo tempo del governo Conte.

Ieri è stato il turno di Dario Franceschini, il quale alle parole di Zingaretti ha aggiunto che sostiene da tempo che «l’intesa di governo tra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle debba sfociare in un’alleanza permanente».

Perfetto. La trasformazione del Partito democratico in un corollario dei Cinque stelle ormai è irreversibile, avendo rinunciato fin dal primo giorno a esercitare una qualche forma di egemonia culturale sui grillini, come aveva invece fatto con abilità Salvini, il quale a questo punto può vantarsi di esserci riuscito, sia pure di sponda, anche col Pd.

Certo c’è la notevole eccezione del trio composto da Paolo Gentiloni a Bruxelles e da Roberto Gualtieri e Enzo Amendola a Roma, grazie al quale restiamo agganciati all’Europa e non siamo ancora diventati vassalli della Cina o della Russia, carissimi a Conte e Di Maio, o sprofondati in un Venezuela senza il petrolio come piacerebbe a Di Battista.

Per il resto, silenzio assoluto. Oppure vetero gauchismo statalista con Andrea Orlando, Peppe Provenzano e lo stesso Zingaretti. Oppure Francesco Boccia, a proposito del quale ci sarebbe da appellarsi al quinto emendamento della Costituzione americana. Oppure contumelie se altri esponenti della maggioranza, gli odiati renziani, si permettono non solo di criticare le baggianate grilline e la confusione di Conte, ma addirittura di proporre un’iniziativa, una legge, un emendamento che possa giustificare la loro presenza al governo da progressisti e non da complici delle scelte gialloverdi di Giuseppe Conte.

L’anomalia è Matteo Orfini, il quale non ha mai smesso di opporsi ai decreti sicurezza e al cedimento strutturale innanzi alla demagogia populista. Su Twitter, tra l’altro, ieri Orfini ha svelato che la direzione del Pd non si riunisce da mesi, nemmeno virtualmente, nemmeno nel pieno della più grave crisi economica e sociale della storia repubblicana: a proposito, qualcuno ha mai avuto più notizie della nuova presidente del Pd Valentina Cuppi?

Ma la cosa davvero sconcertante è il lockdown intellettuale dell’ala cosiddetta riformista del partito, l’area progressista fino all’altro ieri culturalmente blairiana e pugnacemente antigrillina, ora umiliata e prosternata ai piedi dell’alleanza democratica permanente con Fofò Dj, Dibba e Vito Crimi.

L’alleanza permanente con i grillini e la misteriosa scomparsa dell’ala riformista del Partito democratico

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