Nella lunga storia della follia umana è accaduto spesso che una comunità, per seguire il proprio leader politico-spirituale, arrivasse fino all’estremo gesto del suicidio rituale. Prima d’ora, però, nessuno aveva mai organizzato un suicidio collettivo per far dispetto al leader di un altro partito. Evidentemente, la maggioranza di governo più pazza del mondo ha deciso di colmare anche quest’ultima lacuna.
L’incredibile balletto sulla prescrizione è solo l’ultimo esempio di una simile dinamica, su cui purtroppo si regge tanto la maggioranza interna del Partito democratico quanto l’asse con il Movimento Cinque Stelle (del resto, le due cose sono ovviamente collegate). L’assurdità sta nel fatto che è proprio questa logica ad avere regalato a Matteo Renzi, leader di un partito che tutti i sondaggi danno inchiodato al 4 per cento, un ruolo da protagonista assoluto, nonché la bandiera di una battaglia sacrosanta (due cose che aveva fatto di tutto per non meritare).
Ricapitoliamo i fatti: alla richiesta avanzata da Italia Viva, e fino a un momento prima dallo stesso Partito Democratico, di rinviare almeno l’applicazione della legge Bonafede, se non di ripristinare la legge Orlando (cioè la legge del Pd), la risposta del Partito Democratico è stata che così si fa cadere il governo e che governare insieme significa venirsi incontro, seguita dalla rivendicazione della bontà del compromesso trovato con il cosiddetto lodo «Conte bis». Sulle ragioni di merito per cui il compromesso elaborato da Pd, Leu ed M5S, isolando Italia Viva, non è affatto un compromesso, ma solo l’ennesimo cedimento alla posizione dei Cinque Stelle, rinvio a quanto ne ha scritto qui Cataldo Intrieri. Ma facciamo pure finta che si tratti di una via di mezzo. Dopodiché prendiamo un foglio bianco, dividiamolo in due, e scriviamo in una colonna tutti i provvedimenti su cui il Pd, per venire incontro ai Cinque Stelle, ha fatto marcia indietro (nessun punto d’incontro a metà strada, nessun nuovo compromesso, nessuna mediazione: provvedimenti cui il Pd era contrarissimo che sono stati approvati o lasciati lì dov’erano senza cambiarne una virgola); nell’altra colonna scriviamo invece tutti i provvedimenti su cui hanno fatto altrettanto i Cinque Stelle. Vogliamo provare?
Elenco dei provvedimenti su cui il Pd ha fatto marcia indietro per non scontentare il Movimento Cinque Stelle:
reddito di cittadinanza;
quota cento;
taglio dei parlamentari;
decreti sicurezza;
ius culturae.
Elenco dei provvedimenti su cui il Movimento 5 stelle ha fatto marcia indietro per non scontentare il Pd:
?
Questo sommario elenco (sommario nel senso che all’elenco dei passi indietro del Pd si potrebbero aggiungere molte altre voci, a cominciare dall’Ilva) dovrebbe bastare a dimostrare l’assurdità dell’argomento secondo cui sulla prescrizione il Partito Democratico non può tenere il punto perché per «governare insieme bisogna venirsi incontro». Perché in questi sei mesi di governo è accaduto esattamente il contrario. Su tutti i provvedimenti sopraelencati Pd e Cinque Stelle non si sono venuti incontro. Al contrario: i Cinque Stelle sono rimasti fermi proprio lì dov’erano. È il Pd che si è spostato sulle loro posizioni. Dire dunque che sulla prescrizione chiedere anche solo un rinvio della legge Bonafede è chiedere troppo, obiettivamente, significa certificare che questa è la regola e non se ne scappa: gli unici principi non negoziabili sono quelli del Movimento Cinque Stelle.
Resterebbe da capire la ragione di un comportamento tanto arrendevole da parte del Pd, di fronte a un partito praticamente moribondo, che perde metà elettori a ogni tornata, uscito decapitato dalle sconfitte e dalle lotte intestine, completamente privo di alternative.
Fino a oggi, l’unica parziale spiegazione stava nella priorità assoluta data dal Pd alle alleanze locali. Ragion per cui al tavolo delle trattative i Cinque Stelle chiedevano scelte di governo, e i democratici, in cambio, accordi elettorali (che spesso, come in Emilia Romagna, nemmeno ottenevano). Ma proprio l’assurda gestione dell’accordo sulla prescrizione dimostra che il problema è più profondo. Stavolta infatti non solo il Pd ha preferito fare asse con il M5S e Leu su una sostanziale conferma della vergognosa riforma Bonafede, invece di difendere i suoi principi e la sua legge; ma dopo che Italia Viva aveva pure fatto buon viso a cattivo gioco, annunciando l’intenzione di votare comunque la fiducia al governo, ha passato due giorni a dichiarare a tutti i giornali, siti internet e agenzie del paese che Renzi era stato piegato, che il suo «bluff» era stato scoperto, che poteva dire quel che voleva ma il problema prescrizione era ormai «archiviato». L’autolesionismo di un simile comportamento sta nel fatto che in tal modo, tentando di usare questa vicenda per azzopparlo definitivamente e costringendolo a reagire di conseguenza (con la minaccia della sfiducia individuale al Guardasigilli), il Pd è riuscito a riaprire una partita che aveva appena vinto. Tanto che alla fine è la maggioranza a essersi dovuta rimangiare il famoso emendamento «Conte bis» che avrebbe dovuto archiviare la discussione. Ma essendo l’unico obiettivo del Pd non già ottenere la migliore riforma possibile, bensì liberarsi del nemico numero uno di Rignano, c’è pure da temere che invece di usare le sue minacce per strappare qualcosa di più al tavolo della trattativa, il Partito democratico preferisca lasciare la riforma Bonafede così com’è, dandola quindi vinta a tavolino ai Cinque Stelle su tutta la linea, ancora una volta, pur di poter dire un minuto dopo che la colpa è di Renzi.
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