La vicenda dei 18 pescatori comincia 107 giorni fa, ovvero il primo settembre, quando furono imprigionati in una caserma di Bengasi, città nell’Est della Libia. Si tratta di otto italiani, sei tunisini, due indonesiani e due senegalesi: Karoui Mohamed, Daffe Bavieux, Ibrahim Mohamed, Pietro Marrone, Onofrio Giacalone, Mathlouthi Habib, Ben Haddada M’hamed, Jemmali Farhat, Ben Thameur Lysse, Ben Thameur Hedi, Moh Samsudin, Giovanni Bonomo, Michele Trinca, Barraco Vito, Salvo Bernardo, Fabio Giacalone,Giacomo Giacalone, Indra Gunawan. A lanciare l’allarme furono altri pescherecci che erano nei paraggi e che erano riusciti a mettersi in fuga.
I pescatori si trovavano a bordo di due pescherecci di Mazara del Vallo – ‘Antartide’ e ‘Medinea’ – che furono sequestrati dalle motovedette dell’Est libico facenti capo all’uomo forte di Bengasi, il generale Khalifa Haftar. L’accusa mossa era di avere violato le acque territoriali per aver pescato all’interno di quella che ritengono essere un’area di loro esclusiva pertinenza in base ad una convenzione che prevede l’estensione della Zee (zona economica esclusiva) da 12 a 74 miglia. A questa accusa si era aggiunta anche quella delle milizie di Haftar che contestavano anche il traffico di droga, senza nessuna prova.
La vicenda dei pescatori, presto sfociata in caso diplomatico, era finita anche a Bruxelles. L’Unione Europea aveva lanciato pochi giorni fa un appello nelle conclusioni adottate dal Consiglio Europeo affinché le autorità libiche rilasciassero “immediatamente i pescatori italiani trattenuti da settembre senza che sia stata avviata alcuna procedura legale” nei loro confronti. Più volte i familiari dei pescatori avevano fatto appelli nella speranza di poter riabbracciare i propri cari a Natale.
Nel corso delle trattative sarebbe stata avanzata da parte di Bengasi la richiesta di uno ‘scambio di prigionieri’, con l’estradizione di quattro libici condannati in Italia a cinque anni come scafisti di una traversata avvenuta nel 2015 in cui morirono 49 migranti. Bengasi ne ha sempre proclamato l’innocenza sostenendo si trattasse di semplici ‘calciatori’.
L’epilogo con la missione di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio a Bengasi e la liberazione dei pescatori.
Fonte Ansa.it