La loro priorità era abbassare le tasse, ma la pressione fiscale ha raggiunto il massimo storico dal 2015 a oggi. La loro priorità era fa ripartire i consumi e la crescita, ma siamo ai massimi storici per propensione al risparmio e ai minimi per i profitti delle imprese. La loro priorità era un’Italia in grado di farsi rispettare dalle multinazionali, e siamo sotto ricatto da Arcelor Mittal, che senza immunità per la gestione dell’Ilva chiuderà i battenti il prossimo 6 settembre, lasciando a casa 15mila lavoratori. La loro priorità era un’Italia sovrana con l’Europa, e siamo sotto lo scacco della procedura d’infrazione da Bruxelles (che ci costerebbe 200 miliardi in dieci anni).
Diciamola così: che il tempo sul giro del governo di Lega e Cinque Stelle non è quello che baldanzosamente immaginavano nei giorni del giuramento. Con buona pace del popolo delle partite Iva e dei piccoli imprenditori del Nord che continuano a tributare ovazioni a Salvini ogni volta che apre bocca, tocca dare testimonianza dei numeri dell’Istat, secondo cui la pressione fiscale del primo trimestre 2019 è pari al 38%, mai così alta e mai così in crescita dal 2015. Nel frattempo, i profitti delle imprese sono al minimo storico dal 1999 a oggi e la propensione al risparmio in crescita dello 0,7%, e meno male che questi mesi dovevano essere quelli in cui lo Stato avrebbe dato una sveglia all’economia.
Anche nel rapporto con le grandi imprese, siamo tornati almeno dieci passi indietro rispetto al punto di partenza. Siamo passati a Di Maio che riapre gli accordi con Arcelor Mittal firmati da Calenda, ad Arcelor Mittal che rimette in discussione tutto ogni settimana che dio manda in terra. Il 5 di giugno, annunciando la cassa integrazione per 14mila 1.400 persone – non prevista dagli accordi – a causa della contrazione della domanda di acciaio. Oggi, minacciando la chiusura dello stabilimento il 6 di settembre se non verrà concessa l’immunità penale sulla gestione pregressa dello stabilimento di Taranto. Se non altro, il governo ha le idee chiare: Di Maio non accetta ricatti, Salvini ha già detto che l’Ilva non può chiudere. Tutto molto bello.
Con l’Europa, siamo nella stessa situazione, a parti invertite. Con Di Maio e Conte che provano a scongiurare la procedura d’infrazione in ogni modo, e Salvini che invece spinge per andare allo scontro frontale con Juncker e Moscovici, sperando di incassare un dividendo politico da una battaglia che costerebbe al Paese rubinetti chiusi per almeno 200 miliardi in dieci anni. Anche in questo caso, il margine di manovra è quello che è. Il 2 luglio la Commissione potrebbe dare via libera alla procedura, e i Paesi europei – non ce n’è uno che abbia detto mezza parola in favore dell’Italia – prontissimi a ratificarla il 9. Non ce lo vediamo, Salvini che cede, ma abbiamo la netta sensazione che, in qualche modo, sarà costretto a farlo.
La truffa è servita, insomma, e bisogna essere ciechi, o tifosi gialloverdi da curva sud, per non accorgersene. Fino a oggi, a pagarla è stato Di Maio, vittima della sua stessa propaganda da balcone e da convention, con un reddito di cittadinanza che si è sgonfiato, rispetto alle aspettative iniziale, come un sufflé quando esce dal forno. Il prossimo sarà Salvini, che al netto del bullismo sui migranti e di un brodino chiamato Quota 100, sta aumentando le tasse e deprimendo l’economia peggio di un governo tecnico, riuscendo nell’impresa di peggiorare ulteriormente pure le poste di bilancio. Se questi sono i sovranisti, ridateci Monti, e in fretta.
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