Matteo Salvini, invece, il giorno in cui ha chiuso l’esperienza gialloverde, è sceso dal palco del suo comizio, a Pescara, e ha chiesto agli italiani di dargli i “pieni poteri”. Tenendo a specificare di avere anche una certa fretta di ottenerli. Incurante dei regolamenti parlamentari, delle prerogative degli eletti, e dei mojito che i suoi colleghi stavano bevendo in spiaggia, seppure lontano dal Papeete. “Deputati e senatori alzino il culo e vengano in Parlamento”, ha intimato. Non nascondendo un certo disprezzo per i ritmi della democrazia parlamentare. Come va ancora di moda fare. Sottovalutando, però, che anche il fastidio anti-casta è un sentimento da maneggiare con cura. Almeno, in certe circostanze.
E insomma Matteo Salvini è andato nella direzione opposta a quella che ha percorso Marine Le Pen, che pure è stata il suo modello di riferimento per la nazionalizzazione della Lega. E mentre la Signora in nero ha speso gran parte della sua carriera nel cercare di togliersi dall’angolo in cui gli avversari hanno stretto il padre Jean-Marie − l’appestato minaccioso, l’anti sistema da arginare con tutto il buon cuore democratico, l’uomo contro il quale era necessario alzare gli argini repubblicani − Matteo Salvini si è andato a cacciare proprio lì, nella ridotta dei banditi dal sistema, nella tana del lupo brutto sporco e cattivo, nel rifugio dei pericolosi.
Ha schierato di fronte a sé il plotone della propria esecuzione, fornendo agli avversari un collante dentro il quale trovarsi uniti in nome del no a lui. Per di più, dando al presidente del consiglio del governo che ha fatto nascere − quello gialloverde − la possibilità di dirgli, senza risultare a molti improprio: “Matteo, ti ho sentito invocare le piazze a tuo sostegno. Questa tua concezione, permettimi di dirlo, mi preoccupa”.
Matteo Salvini non ha dietro di sé nemmeno il passato di una Giorgia Meloni, l’eredità di un partito nipote di Almirante, arrivato alla fine della storia della destra post fascista italiana. Anzi, avrebbe dalla sua parte l’esempio di un padre come Umberto Bossi, che, il 25 aprile del 1994, mentre in piazza si riadattava l’antifascismo alla lotta contro Berlusconi, andò tra i manifestanti a ribadire che la lega Nord non era antifascista così, era anti fascista cosììì. Marine Le Pen si è dé-diabolisé. Salvini, invece, ha fatto il contrario: si è auto demonizzato. Certo, potrà sempre dire: “Tanti nemici, tanto onore”. Però.
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