Tanto assente da ministra del Sud, quanto presente nel suo nuovo ruolo di pasionaria grillina dissidente. La senatrice ed ex ministra Barbara Lezzi, una di quelle entrate nel totonomine dei sottosegretari e poi rimasta a mani vuote nella reincarnazione del governo da Conte 1 a Conte 2, si è messa ormai alla guida del folto gruppo di quelli che nel Movimento Cinque Stelle vogliono sbarazzarsi di Luigi Di Maio. Tornando a infiammare le polemiche a poche ore dalla batosta elettorale dei grillini in Umbria. «È stato un grave errore delegare la politica al patto civico», ha detto a Rainews24. «Il M5s non aveva niente di cui vergognarsi e poteva sventolare la propria bandiera. È stata una scelta rinunciataria». Ora serve, dice, «un’assemblea nazionale. La catena decisionale deve essere cambiata».
Il messaggio è diretto a Luigi Di Maio. «Deve essere lui a decidere se vuole fare ancora il capo politico e il ministro degli Esteri insieme», ha spiegato. E un sostituto Barbara Lezzi potrebbe già avercelo. «Il Movimento merita e ha bisogno, ora più che mai, della voce di tutti coloro che ci hanno sempre creduto, che lo hanno costruito e che lo hanno raggiunto negli anni. Nessuno sia escluso», ha scritto Lezzi su Facebook. E quel nessuno potrebbe rispondere al nome di quello che l’ex ministra ha definito suo «amico e compagno di battaglie», Alessandro Di Battista, con il quale si «sente spesso» (parole di Lezzi). «Io lo chiamo sempre poi sta a lui decidere», ha concluso davanti alle telecamere di Rainews24.
Dopo aver governato gomito a gomito con Di Maio, dribblando ogni critica che arrivava dai grillini ribelli di Palazzo Madama contro il capo politico, è da qualche mese ormai che Barbara Lezzi fa le pulci al movimento. Tanto da non aver partecipato a “Italia a Cinque Stelle”, la festa per i dieci anni del movimento, seguendo la logica morettiana del “mi si nota di più se non vengo”. «Secondo me hanno sbagliato», ha detto Davide Casaleggio sulla assenza di Lezzi e dell’ex ministra Giulia Grillo, anche lei rimasta senza incarichi di governo. «Solo ora che non sono più ministre si accorgono della gestione “verticistica” di Di Maio?», si sfogano i colleghi grillini che fanno notare da tempo lo strapotere del ministro degli Esteri.
Resta il fatto che è stata proprio l’ex ministra pentastellata a capitanare la fronda grillina che al Senato ha chiesto e ottenuto l’ennesimo dietrofront sull’immunità parziale per l’Ilva nel “decreto salva imprese”, costringendo il Pd ad accettare l’emendamento amaro. E passando la patata bollente nelle mani del ministro grillino allo Sviluppo economico Stefano Patuanelli, che ora dovrà vedersela con ArcelorMittal. Una rivincita covata da Lezzi che, da quello che racconta, quando il governo Conte 1 ormai agli sgoccioli votò per il ritorno dello scudo penale (prima abolito nel decreto crescita) si alzò dal tavolo del consiglio dei ministri senza votare.
Nella parabola irrisolta dell’acciaieria di Taranto, d’altronde, sta tutto il fallimento di Lezzi da ministra del Sud, da cui tanto si aspettava il Movimento, avendogli regalato percentuali di voto bulgare. Da salentina (di Lequile), in campagna elettorale Lezzi aveva promesso la chiusura dell’Ilva, oltre che la cancellazione del progetto del gasdotto Tap, ottenendo nel suo collegio un bottino di 107mila preferenze alle ultime politiche. «Io adesso voglio sfidare chiunque a stendere un asciugamano sopra un gasdotto», si era spinta a dire in tv, ignorando di fatto che il Tap passerà a 10 metri di profondità sotto la spiaggia pugliese.
Gaffe a parte, alla fine l’acciaieria di Taranto è ancora lì, ma senza un progetto industriale serio di rilancio; e il Tap, che secondo Alessandro Di Battista poteva essere bloccato in 15 giorni, si farà. Due sconfitte che l’ex ministra ha incassato, senza il sostegno del suo Movimento, dando la colpa alla Lega ex alleata di governo. Ora, però, le carte in tavola sono cambiate. Lezzi è tornata ai suoi temi più cari, quelli della Puglia che l’ha eletta, criticando i ministri al governo e soprattutto il ministro del Sud Giuseppe Provenzano, come se fosse all’opposizione. E forte del suo ottimo rapporto con Beppe Grillo, che definisce «come un padre», si è messa alla testa di chi vuole cambiare il movimento, cosa che Di Maio dice di voler fare da un po’ in realtà senza mai neanche provarci.
La battaglia con Di Maio ora si sposta sulla prossima tornata elettorale in Calabria. Lo scontro è già andato in scena qualche settimana fa, quando la deputata 5S Dalila Nesci si è candidata a governatrice della regione, rigettando ogni ipotesi di alleanza con il Pd. Candidatura bocciata subito da Di Maio, che ha giustificato il suo no con l’impossibilità da Statuto di rinunciare a un mandato popolare in corso per candidarsi per un’altra carica. Una regola che, però, il Movimento ha già derogato per il fedelissimo Giancarlo Cancelleri, strappato dal consiglio regionale siciliano per essere nominato sottosegretario alle Infrastrutture. E se Dalila Nesci ha interpellato perfino Beppe Grillo, Barbara Lezzi è intervenuta un post al veleno su Facebook: «Avendo derogato per Cancelleri, non esiste più nessuna regola che impedisca a Dalila di candidarsi. A meno che non si voglia rinunciare ad abbassare la bandiera del M5s per sempre».
Botte e risposte che ormai hanno tagliato completamente fuori Lezzi dal circolo dei Cinque Stelle al potere. Tanto che la stessa ministra ammette: «Io non ho ancora visto la legge di bilancio». D’altronde anche da ministra non sembrava poi così tanto al corrente di quello che il suo stesso governo decideva. Fu Bruno Vespa, a Porta a Porta, a darle notizia che nel “decreto Genova” era prevista una sanatoria per le case abusive crollate nel terremoto di Ischia. «Guardi, se c’è questa norma io onestamente non lo so», aveva risposto.
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