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L’irritazione di Zingaretti: non si governa con il «nemico»

la reazione del pd al voto di rousseau

Lo sconcerto dei democratici: così il nostro principale alleato di governo rischia di consegnare l’Emilia Romagna alla Lega, a che gioco giochiamo? Cresce nel partito la voglia di elezioni anticipate a marzo. E Bonaccini chiama al voto utile: «La scelta è tra me e la leghista Borgonzoni»

di Emilia Patta

22 novembre 2019


(IMAGOECONOMICA)

3′ di lettura

Da soli, a mani nude contro Matteo Salvini. Tra largo del Nazareno a Roma e Viale Aldo Moro a Bologna, sede della Regione Emilia Romagna, la prima reazione alla votazione di Rousseau che ha deciso di fatto di schierare un candidato del M5s contro il governatore uscente Stefano Bonaccini rischiando di regalare la “regione rossa” alla Lega e alla sua candidata Lucia Borgonzoni è di silenzioso sconcerto. Che non fosse aria di alleanza vera e propria era ormai chiaro, ma i dem erano abbastanza convinti che alla fine il M5s avrebbe optato per la “desistenza” amichevole, ossia non presentando la lista per non sfavorire il candidato del Pd e del centrosinistra.

In Emilia Romagna il Pd perde una «dote» del 6%
Ora il quadro cambia. In Emilia Romagna innanzitutto, dove gli ultimi sondaggi rilevano il M5s attorno al 6%: più che sufficiente a spostare verso Borgonzoni il pendolo della vittoria in una competizione che si annuncia come particolarmente difficile per i l centrosinistra (Bonaccini è avanti come candidato governatore ma le liste di centrodestra superano nei gradimenti quelle del centrosinistra, con la Lega attestata al 33% circa come il Pd). La strada è quella tradizionale di un centrosinistra largo, basato sulle liste civiche, a cominciare da quella del governatore uscente accreditata attorno al 10% e dove saranno candidati anche i renziani di Italia viva, e sull’apporto dei partiti minori della coalizione: dalla sinistra di Leu al neopartito di Carlo Calenda “Azione”.

Bonaccini già si appella al voto utile contro la Lega
«Io lavoro a un progetto per l’Emilia Romagna condiviso da un centrosinistra largo e da tante esperienze civiche e sono convinto di poter vincere – diceva a caldo Bonaccini commentando il voto su Rousseau -. I 5 Stelle sono ovviamente liberi di scegliere cosa fare, ci mancherebbe. Resto convinto che sia un errore sottrarsi a un confronto su programmi e idee per l’Emilia Romagna, anche alla luce dei temi che abbiamo condiviso nella legislatura e soprattutto negli ultimi mesi, dai diritti civili e sociali all’ambiente e alla strategia plastic free. E mi sembra piuttosto chiaro che qui la scelta per chi governerà l’Emilia Romagna sarà tra il sottoscritto e la Borgonzoni». Chiaro il tentativo di Bonaccini di giocare sul voto utile, forte anche del fatto che in Emilia Romagna l’elettorato del M5s è prevalentemente di sinistra, giocando sull’irrilevanza del voto a un candidato che non sia lui o la Borgonzoni.

L’irritazione di Zingaretti: non si governa assieme al «nemico»
Non solo Emilia Romagna. Il quadro cambia anche a Roma, dove le prospettive di un governo con i nemici in casa si fanno più che mai incerte dal punto di vista dei democratici. Nicola Zingaretti già aveva cominciato a perdere la pazienza nei giorni scorsi: su manovra, Ilva, giustizia e legge elettorale il M5s di Luigi Di Maio si è dimostrato sempre più rigido e poco aperto al compromesso via via che passavano i giorni. Ora, con la decisione – di fatto – di scendere in guerra in Emilia Romagna dalla parte sbagliata agli occhi del segretario dem l’alleanza di governo si svuota ancor di più di senso e prospettiva. Altro che costruire assieme l’alternativa alla destra sovranista a partire dall’alleanza che sotiene il governo Conte 2, come era nello schema iniziale di Dario Francheschini condiviso da Zingaretti. Lo stesso Di Maio sbatte potentemente la porta in faccia a questa prospettiva quando interpreta il voto di Rousseau come un niet a tutto campo al Pd («il M5s è la terza via, un’alternativa alla destra e alla sinistra»).

E tra i dem cresce la voglia di elezioni anticipate a marzo
In queste ore nel Pd prende quota quella parte del partito – dal presidente del partito e commissario Ue Paolo Gentiloni al vicesegretario Andrea Orlando – che è più scettica sull’opportunità di proseguire l’esperienza di governo a queste condizioni. «Non siamo le cariatidi del governo», avvertiva Gentiloni durante la kermesse del Pd a Bologna lo scorso week end. E lo stesso Zingaretti è ormai convinto che se non c’è un’anima, una prospettiva, è inutile immaginare scenari di legislatura. E tra i dirigenti c’è già chi, sempre che alla fine in Emilia Romagna il 26 gennaio vada bene, immagina un ritorno alle urne a breve, entro marzo 2020.

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