Sulla regolarizzazione dei migranti, Bellanova ha optato per il pugno duro. Contempla le dimissioni, persino – «non sono qui a fare la tappezzeria», ha detto – se per i braccianti irregolari presenti sul suolo italiano non sarà previsto un permesso di soggiorno temporaneo (si pensa semestrale, rinnovabile di altri sei mesi). Si tratta di circa 600mila lavoratori, compresi colf e badanti. Regolarizzare significherebbe, da un lato, dare la possibilità a chi lavora di farlo con contratti, sottraendosi al caporalato, e dall’altro avere accesso ai servizi, in primis quelli sanitari.
Il piano di Bellanova è di inserire un’apposita norma nel decreto maggio. Una questione di civiltà, ragionano al ministero, ma anche economica, perché si tratta (anche) di braccia che all’agricoltura italiana servono. Per la ministra nei campi mancano «fra i 270mila e i 350mila lavoratori»: il 40% dei prodotti ortofrutticoli rischia di non essere raccolto e di danneggiare i campi, oltre che di non arrivare sulle tavole.
La ministra ha comunicato che incontrerà il ministro Gualtieri e Giuseppe Conte in proposito. «Questo tema è ragione di permanenza nel Governo. Significa decidere da che parte stare: se con la legalità e la tutela del lavoro, in agricoltura e dovunque, o con i caporali, la criminalità, la concorrenza sleale che danneggia le migliaia di aziende che scelgono la competitività sana e difendono ogni giorno il valore della responsabilità sociale dell’impresa», ha dichiarato Bellanova.
Nel governo si sta però consumando lo scontro, in particolare con i Cinque Stelle. Il no più duro è arrivato dal leader Vito Crimi: «Se noi concediamo uno status di regolarizzazione a chi è in Italia illegalmente consentiamo a queste persone di continuare a svolgere lavoro nero ed essere oggetto di sfruttamento», ha detto a Radio 24. «Se vogliamo lavorare su come far emergere il lavoro nero, ok. Ma se, come ho potuto leggere, è allo studio anche una parte di testo che riguarda una sanatoria modello Maroni, noi non ci stiamo».
Il “Modello Maroni” era quello che nel 2002 aveva consentito la regolarizzazione di 200mila immigrati attraverso la legge Bossi-Fini. Una scelta che oggi lo stesso Matteo Salvini contesta, dicendo no ad una «maxisanatoria per irregolari», anche se, come nota l’ex senatore del Partito democratico Luigi Manconi, nel complesso i governi Berlusconi-Maroni avevano firmato ben due sanatorie nel 2002 e 2009, portando alla regolarizzazione di «complessivi 900mila irregolari. Ottimo per la nostra economia e il nostro welfare».
Favorevoli ai permessi di soggiorno proposti da Bellanova il Partito Democratico, la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, i sindacati e anche il Papa – «fare della crisi l’occasione per rimettere al centro la dignità della persona e del lavoro», ha detto. Anche Mara Carfagna si è espressa a favore del modello Maroni per colf e badanti – «è stata una grandissima prova di civiltà e maturità politica del Centrodestra», scrive in una nota.
Lo stesso procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, qualche settimana fa, aveva detto che regolarizzare significa colpire le mafie, perché «consenso sociale e reclutamento sono i due aspetti che le mafie riescono a cogliere in una situazione di difficoltà economica e sociale come quella attuale».
Ma i grillini non sembrano aver intenzione di arretrare. Carlo Sibilia, sottosegretario all’Interno, in un’intervista a Repubblica ha detto che «chi propone una sanatoria oggi imita le politiche leghiste e fa un favore a Salvini». Una posizione che in realtà mette in difficoltà la stessa ministra 5 stelle Nunzia Catalfo, che invece si era detta favorevole alla proposta. E anzi aveva sostenuto di volerla accompagnare, sul fronte agricolo, con il lancio della piattaforma pubblica per far incontrare domanda e offerta.
Qualunque sarà la decisione, le conseguenze in ambito di gestione dell’emergenza nei prossimi mesi saranno rilevanti. Non soltanto per la frutta e la verdura che non saranno raccolte, o per i lavoratori che continueranno ad essere sfruttati, ma anche per le potenziali complicazioni sanitarie che mantenere l’illegalità comporta.
«Com’è possibile pensare che la fase due, con le sue esigenze di monitoraggio, di tracciamento di massa, di test sierologici possa funzionare, quando ci sono 600mila lavoratori invisibili, che cominciano a rimettersi in moto con la ripresa delle attività produttive, e sfuggono ai controlli sanitari, perché non hanno diritti e vivono magari in abitazioni con tante persone, senza rispettare i criteri di distanziamento sociale?», diceva non più di qualche giorno fa Leonardo Becchetti, docente di economia all’università Tor Vergata.
Insieme a Tito Boeri, ex presidente Inps e ad altri 370 fra economisti, virologi e sociologi, Becchetti è firmatario di un appello per la regolarizzazione degli immigrati irregolari in tutti i settori, non solo in agricoltura, ma anche tra quelli dell’industria, dell’artigianato e dei servizi alla persona.
«Si tratta di un problema evidentemente di salute pubblica e di ordine pubblico. Oggi le persone che sono presenti irregolarmente sul nostro territorio possono accedere agli ospedali, ma non possono interagire con i medici di base», dice Boeri. Rimanendo stipati in baraccopoli con condizioni igieniche terribili, o in centri di accoglienza decimati dai decreti sicurezza di Matteo Salvini, i loro luoghi di vita «diventano dei veri e propri centri di contagio. E poi queste persone le ritroviamo nelle strade», dice Boeri.
Per questo «abbiamo assolutamente bisogno di riprendere controllo sul territorio, di guadagnare la collaborazione di queste persone, di spingerle a rivolgersi ai nostri medici, nel caso manifestino i primi sintomi, e che accettino delle forme di autoisolamento per evitare che il contagio continui. Molti dei nuovi arrivi nei pronti soccorso di Milano, ad esempio, sono soprattutto immigrati irregolari», osserva l’ex presidente Inps.
Questioni di ordine sanitario, economico e sociale si intrecciano sul nodo migranti, in gran parte legato ai decreti sicurezza di Salvini, che il Partito democratico aveva promesso di cancellare, senza mai andare fino in fondo. Le conseguenze sono molte: con la cancellazione della protezione umanitaria, ad esempio, per coloro a cui a breve scadrà lo status un rinnovo sarà impossibile, così come altamente improbabile sarà riuscire a trasformarlo in permesso lavorativo. Se trovare lavoro, oggi, è complesso per gli italiani, lo è estremamente di più per loro.
Ma il problema non è solo interno ai confini nazionali. All’orizzonte, con l’arrivo della bella stagione, iniziano ad avvicinarsi nuovi barconi dalla Libia. Lampedusa è già sovraccarica (solo l’altro ieri ne sono sbarcati 156, 422 da domenica). Il sindaco Totò Martello ha spiegato chiaramente di essere al limite: «Non so più dove metterli».
L’unica soluzione che il governo ha trovato per isolare chi arriva è quella del traghetto Rubattino (in 183 sono scesi a terra lunedì, dopo settimane di segregazione). «So che al ministero delle Infrastrutture hanno aperto le buste per la nave-quarantena, ma ancora non conosciamo l’esito né cosa accadrà nei prossimi giorni. Solo dal ministero dell’Interno si fanno sentire e oggi (ieri, ndr) ci hanno rassicurato sul fatto che attiveranno tutte le procedure possibili per fare arrivare rapidamente la nave-quarantena».
È anche per questi motivi che una serie di parlamentari nazionali ed europei e di consiglieri regionali del centro sinistra hanno scritto una lettera al presidente Conte chiedendo soluzioni per i migranti in arrivo dalla Libia. «Ci sono persone in attesa di un Pos al limite delle acque territoriali italiane, più di 100 si trovano da giorni sul molo di Lampedusa in condizioni non degne di un Paese come il nostro», si legge nella lettera. «Chiediamo di trovare una soluzione per non continuare a sovraccaricare l’Isola in un momento di emergenza sanitaria come questo ed offrire un’assistenza dignitosa alle persone soccorse».
Lucia Caridi e Gianluca Pomo di Italia Viva, hanno lanciato una petizione per concedere la cittadinanza italiana a tutti i medici e il personale sanitario stranieri (ma con regolare permesso di soggiorno) che in questi mesi sono stati in prima linea nell’affrontare l’emergenza coronavirus. «Ci sembra giusto, doveroso e rispettoso che questi medici, infermieri e operatori socio-sanitari che non si sono mai tirati indietro, sempre e perennemente in trincea durante questo periodo eccezionalmente drammatico, che hanno salvato la vita a moltissimi nostri connazionali, che hanno regalato sorrisi a tante persone che rischiavano di non vedere più i loro cari, che hanno portato da mangiare e da bere a tutti i ricoverati supportandoli con ogni forza disponibile nella battaglia contro il Coronavirus, siano legittimamente riconosciuti quali cittadini italiani».